4 gennaio 2004

Perché l’ansia brucia i ricordi
Un ricerca tedesca spiega molti effetti patologici dello stress

Secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ansia e depressione nei prossimi quindici anni queste malattie balzeranno ai primi posti nella classifica delle patologie che più affliggono l’umanità. È evidente che le cause non possono stare nel Dna bensì nell’attuale organizzazione della vita, dominata dalla competizione tra gli individui e tra gli Stati, che ormai ricorrono sempre più facilmente alla guerra. Ansia e depressione si nutrono di conflitti. Conoscere i meccanismi cerebrali dell’ansia è quindi molto importante sia per migliorare le terapie sia, soprattutto, per fondare scientificamente strategie di cambiamento delle condizioni ambientali che li generano.
Da anni che sul banco degli imputati c’è il crh, ormone che rilascia la corticotropina (o acth) e che attiva la reazione di stress. L’ormone viene prodotto da neuroni dell’ipotalamo, un insieme di nuclei cerebrali che governa molte funzioni: la fame, la sete, la temperatura corporea, l’asse dello stress e l’insieme degli ormoni.
Alcuni recenti studi confermano i sospetti, ma con una novità: non è il crh ipotalamico, ma è il crh prodotto dai neuroni del sistema limbico a scatenare l’ansia. Il sistema limbico è una vasta area profonda del nostro cervello, legata all’affettività e alle emozioni. Le sue strutture fondamentali sono l’amigdala e l’ippocampo: la prima è la sede della reazione di paura e la seconda è la sede della lavorazione delle memorie; tra le due strutture c’è una stretta integrazione.
Un gruppo di scienziati dell’Istituto di psichiatria del Max Planck di Monaco, in Germania, è riuscito a selezionare una variante di animale da esperimento privo di recettori per il crh nel sistema limbico, mentre li mantiene nell’ipotalamo. In questi animali, stando ai dati pubblicati su Nature Neuroscience, sono molto ridotte le risposte d’ansia ai classici test di scatenamento. Abbiamo quindi la prova che è il crh delle aree limbiche, amigdala in particolare, a scatenare l’ansia.
La scoperta conferma il ruolo dell’amigdala nella reazione di paura: è noto, infatti, che la paura e l’ansia sono parenti stretti, si alimentano a vicenda, si intrecciano fino a confondersi. Al tempo stesso, conferma lo stretto rapporto tra amigdala e ippocampo: è noto che basta la memoria della paura a scatenare un attacco di panico. Sappiamo anche che uno dei segni più frequenti dei disturbi d’ansia, ma anche di quelli depressivi, è l’indebolimento della memoria: l’ippocampo, centrale di produzione dei ricordi, viene, infatti, danneggiato dal crh in eccesso. Fino ad ora si pensava che fosse il cortisolo, prodotto in eccesso in corso di stress cronico, a sabotare i neuroni ippocampali. Adesso scopriamo il ruolo del crh. C’è contraddizione?
Non sembra. Intanto perché il crh viene prodotto dalle aree limbiche proprio in corso di stress, anzi possiamo dire che la reazione di stress ha origine proprio nell’amigdala, che fa due cose insieme: attiva circuiti nervosi che producono comportamenti ansiosi e sollecita l’attività dell’asse neuroendocrino dello stress con sovrapproduzione di crh da parte dell’ipotalamo e di cortisolo da parte delle surrenali. Poiché è assodato che l’eccesso di cortisolo causa un danno ippocampale, le nuove scoperte sul ruolo analogo del crh completano il quadro degli effetti nefasti dello stress sul cervello.
Infine, vanno segnalate le sperimentazioni su umani di farmaci che bloccano il crh. I primissimi dati incoraggiano i ricercatori, soprattutto perché i tanto temuti effetti collaterali sembrerebbero minori del previsto. Lo stesso gruppo tedesco di cui abbiamo parlato sopra, nel numero di dicembre del Journal of Psychiatric Research, presenta dati confortanti. Ma è intuibile che ci vorranno molti altri studi per garantire sicurezza a un farmaco che va a bloccare un segnale chiave per il cervello.


FRANCESCO BOTTACIOLI*
* Scuola di medicina integrata
www.simaiss.it

[Fonte: La Repubblica Salute]

Nessun commento: