14 febbraio 2005

About BEER

I topi e la birra
Gli animali sanno smettere di bere al momento giusto

Secondo uno studio di ricercatori del dipartimento di psicologia dell'Università della Florida, i bevitori accaniti di birra dovrebbero imparare dai topi, che sono in grado istintivamente di gestire o ridurre il proprio consumo di calorie quando indulgono eccessivamente nelle bevande alcoliche. I ratti, in poche parole, sanno quando è il momento di smettere di bere, per esempio dopo una quantità equivalente a due o tre bicchieri per un essere umano.
La maggior parte degli uomini, invece, ignora questo stesso istinto, cosa che produce gravi disturbi alimentari. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista "Pharmacology, Biochemistry and Behaviour"."Il comportamento degli esseri umani è complicato, - spiega lo psicologo Neil Rowland, che ha studiato i meccanismi neurali dell'obesità e dell'abuso di alcool - perché siamo bombardati da fattori sociali e di marketing che ci mettono di fronte al cibo in ogni momento. A volte è difficile dire di no".
Ma se le persone sembrano coscienti degli effetti che l'alcool ha sulla loro sobrietà, sembrano ignorare volontariamente quelli sulla linea. Oltre cinquant'anni fa, alcuni ricercatori avevano già notato che gli Americani tendono a pensare alle bevande alcoliche come a una droga, non come a una fonte nutritiva. Gli scienziati hanno monitorato il consumo di cibo, di fluidi e di alcool di sei ratti maschi e cinque femmine, nel corso di diversi giorni, in tre esperimenti separati. I risultati suggeriscono che - a differenza degli uomini - i ratti tengono conto istintivamente dell'aspetto nutritivo di ciò che bevono. Gli animali bevevano l'etanolo che i ricercatori davano loro soltanto se non era disponibile nient'altro, e in ogni caso con moderazione: non proprio un comportamento simile a quello degli avventori di un pub.



La risposta cerebrale all'alcool
Studiato il meccanismo cellulare dell'alcolismo

Un team di scienziati dell'Istituto di Ricerca Scripps (TSRI) ha descritto il meccanismo cellulare alla base della risposta del cervello all'alcool, suggerendo un possibile metodo per curare l'alcolismo.
Lo studio, pubblicato sul numero del 5 marzo della rivista "Science", collega l'effetto del peptide CRF (fattore di rilascio della corticotropina) a quello dell'alcol. Entrambi sembrano influenzare la neurotrasmissione nell'amigdala, il cosiddetto centro del piacere del cervello, aumentano la trasmissione di un particolare neurotrasmettitore chiamato acido gamma amino butirrico (GABA).
"C'è una forte relazione - spiega il neurofarmacologo George Siggins, che ha guidato la ricerca - fra l'abuso di farmaci, lo stress e l'amigdala". Lo studio suggerisce che i composti che bloccano i recettori di CRF potrebbero avere potenziali effetti terapeutici per gli alcolisti. Gli scienziati già studiano questo tipo di composti come possibili trattamenti per altre condizioni psichiatriche quali la depressione, il disturbo da panico e il disturbo da stress post-traumatico, tutti collegati al CRF nell'amigdala.