9 luglio 2012

La visione che ci restituisce il mondo

di Paolo Legrenzi (Repubblica del 26 agosto 2011)

Nella psicologia è circolata per molto tempo l'idea che quel che conta sono le interpretazioni, e non i fatti. Anzi, sono le interpretazioni stesse a creare i fatti. In una variante di psichiatria sociale, il matto era, semplificando (ma non tanto), il risultato di chi lo classificava come tale. Cambiata la società, eliminata l'etichetta, trattati i matti da persone normali, il problema si sarebbe ridotto, se non dissolto. In forme meno grossolane, questa stessa idea permeava altre scienze umane.

Oggi il vento è cambiato. Due grandi tradizioni di ricerca, l'evoluzionismo e lo studio del cervello, anche grazie a nuove tecniche di osservazione, stanno occupando la scena. L'uomo è un pezzo della natura biologica, e non è poi così speciale. L'idea che sia lui a costruire il mondo, con le sue categorie di osservazione e d'interpretazione, è al tramonto. Si celebra così la fine del presunto primato dell'interpretazione sui fatti. Non ci si era mai spinti ad affermare che leggi scientifiche – come, poniamo, la legge dei gas –, fossero interpretazioni del comportamento dei gas. E tuttavia per le scelte individuali e le società era così. Circola poi, ancor oggi, una variante politica, nel senso che chi detiene il potere politico e i media può "costruire" la realtà. Era questo cui alludeva Donald Rumsfeld, il segretario alla difesa del secondo Bush, quando affermava, dopo la caduta del comunismo: «Ora il mondo lo facciamo noi».

Questa versione "forte" del credo "interpretativo" è fallita miseramente. I fatti si vendicano nella politica estera americana. I fatti presentano il conto. Il potere politico può, anche per molto tempo, far sì che l'opinione pubblica riconosca un fenomeno "da un certo punto di vista", ma non può fare di più.

Quando s'insegna psicologia, al primo anno di studi, si deve contrastare lo spontaneo "realismo ingenuo" degli studenti. Esso consiste nel pensare che noi vediamo il mondo così com'è, semplicemente perché è fatto così. In realtà il nostro sistema percettivo è un intreccio di meccanismi inconsapevoli che ci "restituisce" il mondo in seguito a una complessa elaborazione di ipotesi su quello che c'è là fuori. E anche il pensiero umano funziona così. Questo però non implica sposare la tesi che la mente crea il mondo. Al contrario, la mente dell'uomo e degli altri animali fa ipotesi su come funziona il mondo e le aggiorna continuamente perché l'azione umana cambia il mondo. Questa è la tensione che sbrigativamente si etichetta con il binomio natura/cultura.

Agli psicologi cognitivi piace che in filosofia stia emergendo una posizione chiamata "nuovo realismo". Non possono concordare né con il realismo ingenuo, né con la rozza idea che siamo noi a creare i fatti con le nostre interpretazioni. Per quanto concerne la versione politica, questa tesi si è sconfitta da sola.

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