Cos’è
la morte – la morte di tutti e di ciascuno, la morte di sempre e quella
marcata dai segni inquietanti del nostro tempo? Come penetrare in un
evento tanto decisivo da incidere in profondo la nostra esistenza eppure
tanto opaco da mettere in scacco ogni sapere volto a rappresentarlo?
Sono queste le domande, brucianti ed estreme, che alla fine degli anni
Cinquanta, a pochi anni dalla più grande apocalisse dell’epoca moderna,
si poneva Vladimir Jankélévitch in un libro che giustamente Lévinas ebbe
a definire “sconvolgente”. Sconvolgente per la radicalità con cui egli
decostruisce tutti i dispositivi immunitari elaborati dal sapere
occidentale nei confronti dell’Irriducibile; ma anche per l’acutezza di
uno sguardo, affilato e obliquo, che taglia in maniera trasversale le
grandi interrogazioni sulla morte, all’epoca affrontate da Heidegger e
da Freud, da Blanchot e da Foucault, ma già prima da scrittori come
Tolstoj e Rilke.
Biografia di Vladimir Jankélévitch
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