2 agosto 2006

Un no alla psicochirurgia
Un terzo dei pazienti cade in uno stato di apatia e ha difficoltà di pianificazione e di esecuzione delle azioni

"C’è chiaramente un forte, inaccettabile rischio di reazioni avverse ai metodi chirurgici finora applicati.” Questa affermazione di Christian Rück del Karolinska Institutet di Stoccolma sembra suonare come una definitiva pietra tombale sulle rinnovate ipotesi di applicazione di tecniche psicochirurgiche a casi, sia pure estremi, di disturbi ansiosi e ossessivi-compulsivi (DOC) che in anni recenti erano state avanzate da alcuni ricercatori. Anche grazie alla disponibilità di strumenti che consentono di ridurre enormemente se non addirittura annullare i danni operatori collaterali alle strutture cerebrali limitrofe – come la radiochirurgia stereotassica – era stata da alcune parti avanzata l’ipotesi di una chirurgia altamente selettiva su alcune strutture cerebrali in modo da alleviare i sintomi in pazienti molto gravi e comprovatamente resistenti alle terapie farmacologiche. Una di queste procedure è la capsulotomia, che va a incidere sulla capsula interna, una struttura cerebrale che contiene fibre che decorrono dal talamo alla corteccia e dalla corteccia al talamo, al tronco cerebrale e al midollo spinale. Lo studio di Rück – il più vasto su pazienti che negli ultimi 23 anni abbiano subito questo tipo di intervento – evidenzia che un terzo dei pazienti così trattati mostrava segni di apatia, e aveva difficoltà di pianificazione e di esecuzione delle azioni. Alcuni di essi, poi, avevano sviluppato epilessia, incontinenza urinaria e disinibizione nei comportamenti.

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