16 gennaio 2013

Neuroscienze - “Ecco perché è così difficile diventare un Buddha”


L’altruismo è raro: il mistero svelato dai circuiti del piacere


david linden,

J. HOPKINS UNIVERSITY - USA 
La maggior parte delle esperienze che consideriamo speciali - siano vizi illeciti o rituali socialmente codificati oppure, ancora, realtà tanto diverse tra loro come l’esercizio fisico e la meditazione - attivano un’area del cervello, anatomicamente e biochimicamente definita, nota come circuito del piacere. 
Orgasmo, apprendimento, alimenti altamente calorici, gioco d’azzardo, preghiera, balli sfrenati, giochi su Internet: tutte queste attività generano un segnale neurale che converge su un piccolo gruppo di settori cerebrali, connessi tra loro, e chiamato in gergo «circuito del piacere del proencefalo mediale», nel quale un neurotrasmettitore - la dopamina - gioca un ruolo cruciale. È proprio in questi piccoli agglomerati di neuroni che viene percepito il piacere. Questo circuito attivato dalla dopamina può essere anche «cooptato» da alcune, anche se non tutte, sostanze psicoattive, come la cocaina, la nicotina, l’eroina o l’alcol. 
Il collegamento con l’evocazione del piacere che avevo notato da ragazzo, osservando a Santa Monica, in California, lo slogan «Dona, finché ti sentirai bene», ha assunto via via maggiore significato anni dopo, quando ho cominciato a esaminare i nuovi sviluppi della ricerca sul cervello, quelli che potrebbero aiutarci a capire meglio ciò che motiva la beneficenza. 
Una serie di studi è stata condotta da William Harbaugh, professore di economia presso l’Università dell’Oregon, e da alcuni colleghi. L’obiettivo era capire come il circuito del piacere nel cervello reagisse a situazioni diverse, dal donare fino al pagare le tasse. Una teoria sostiene che ci siano individui che fanno beneficenza spinti dall’altruismo. Provano soddisfazione nel fornire un bene pubblico, come l’assistenza ai bisognosi, e si preoccupano soltanto dell’effetto e non del processo che lo genera. Il modello implica che queste persone dovrebbero provare un certo piacere anche quando il trasferimento di ricchezza è obbligatorio, come avviene con la tassazione. Una seconda teoria, invece, nota come «luce calda», sostiene che le persone amino prendere la decisione consapevole di donare. Traggono piacere dal senso della loro azione, più o meno allo stesso modo in cui le persone preferiscono tirare i dadi durante un gioco ed estrarre personalmente i numeri della lotteria. Ecco perché in questo altro modello la tassazione obbligatoria non appare in grado di produrre una «luce calda». Una terza teoria, poi, ipotizza che per alcune persone il piacere di dare nasca dalla valorizzazione del loro status sociale. Si compiacciono di essere considerati ricchi e generosi dai loro pari. 
Tutte queste teorie, naturalmente, non si escludono a vicenda. Qualcuno potrebbe essere motivato dall’altruismo e dalla «luce calda» della scelta consapevole e del desiderio di approvazione sociale. 
Harbaugh e il suo team hanno ideato il loro esperimento per indagare le prime due teorie, ma non la terza. Hanno quindi reclutato 19 giovani donne nella zona di Eugene, nello Stato americano dell’Oregon, e hanno chiesto loro di eseguire una serie di operazioni di tipo economico, monitorandole con uno scanner cerebrale. Erano state informate che nessuno, nemmeno gli sperimentatori, avrebbero conosciuto in anticipo le loro scelte (ed era vero: le loro decisioni sono state registrate direttamente sul computer e codificate automaticamente prima dell’analisi). 
È presumibile che la struttura di questo esperimento elimini la motivazione del miglioramento del proprio status sociale. E, infatti, ogni soggetto aveva ricevuto su un conto personale la somma di 100 dollari, che sarebbero poi stati ripartiti in varie quote a una «banca del cibo». Se in alcune delle prove i soggetti avevano la possibilità di fare la propria donazione, in altri, invece, non avevano scelta: erano «tassati». In altre prove, poi, avevano ricevuto il denaro senza alcuna condizione. 
L’indagine è stata condotta nel modo seguente: ai soggetti è stata presentata una somma di denaro su uno schermo, 15 oppure 30 dollari. Appena pochi secondi dopo venivano informati della destinazione: se la somma era un regalo, una tassa sul loro conto oppure, ancora, un’offerta da destinare in beneficenza. Potevano accettare o rifiutare, semplicemente premendo un pulsante. 
I risultati ottenuti con la scansione del cervello hanno mostrato che, proprio come il ricevere soldi, sia le tasse sia la beneficenza attivano alcune regioni, quasi sovrapposte, appartenenti al circuito del piacere. Tuttavia, in media, i gesti di beneficenza producono una maggiore attivazione di questa area rispetto a quanto induce la tassazione. I risultati, quindi, supportano sia il modello del «puro altruismo» sia quello della «luce calda» come motivatori del dare di tipo caritatevole. 
Naturalmente questo non significa che i volontari sorridessero compiaciuti, mentre compilavano i modelli per il fisco. E non significa neppure che il cervello di tutti risponda sempre ed esattamente allo stesso modo in queste specifiche condizioni. Circa la metà dei soggetti dello studio, infatti, ha mostrato una maggiore attivazione del centro del piacere quando ha ricevuto una somma di denaro e minore quando la regalava. E allo stesso tempo l’altra metà ha rivelato risultati opposti. Non a caso, chi dimostrava più piacere nel dare ha effettivamente scelto di dare molto più in beneficenza rispetto all’altro gruppo. 
A questo punto nasce una domanda filosofica: se il dare, anche in modo obbligatorio e in forma anonima, attiva i centri del piacere del cervello, questo significa che, in realtà, il «puro altruismo» non esiste? In altre parole, se i nostri istinti più nobili ci danno piacere, questo fatto li rende meno nobili? 
Vale la pena ricordare che le motivazioni dei comportamenti altruistici sono stati un argomento di grande interesse in molte tradizioni filosofiche e religiose. Kant, per esempio, ha scritto che gli atti indotti da sentimenti di simpatia non sono veramente altruisti e, quindi, non meritano lodi, perché fanno sentire bene chi li compie. E questo non è soltanto un freddo concetto nordeuropeo: un’idea simile si trova nel concetto buddhista di «dana», vale a dire l’altruismo distaccato, il dare separato dalla ricompensa (anche interiore), che è un attributo fondamentale del Bodhisattva illuminato. Gli esperimenti di Harbaugh suggeriscono che l’altruismo del tutto puro - il dare senza piacere - è un comportamento molto innaturale e difficile da raggiungere.  

Traduzione di Carla Reschia 

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