21 aprile 2014

Il ritmo circadiano anomalo del cervello depresso

Dimostrato sperimentalmente per la prima volta nell'essere umano che anche i geni delle cellule cerebrali seguono specifici ritmi di attivazione circadiani. Nelle persone che soffrono di depressione, tuttavia, fra questi ritmi viene a mancare la corretta sincronizzazione, con uno sfasamento che ha un impatto significativo sulla regolazione di numerosi processi neurali, e quindi sui comportamenti

Nei pazienti affetti da depressione maggiore i cicli giornalieri di espressione genica nel cervello sono interrotti. A dimostrarlo è uno studio condotto da ricercatori dell'Università del Michigan e dell'Università della California a Irvine, che firmano un articolo su “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

Uno dei classici sintomi della depressione maggiore sono i disturbi del sonno, espressione della rottura dei ritmi circadiani, che si ritengono collegati ai cicli di espressione dei geni. Finora, tuttavia, la ritmicità circadiana dell'espressione genica era stata però documentata solo nell'animale e, per quanto riguarda l'uomo, solamente in tessuti periferici e ma non nel cervello, poiché richiede il prelievo di tessuti per la valutazione del trascrittoma (ossia il complesso dei fattori di trascrizione relativo ai diversi geni).

Per il presente studio - che fornisce la descrizione più completa finora realizzata del trascrittoma cerebrale di una specie diurna, definendo circa 12.000 trascritti nella corteccia dorsolaterale prefrontale, corteccia cingolata anteriore, l'ippocampo, amigdala, nucleo accumbens, e nel cervelletto  – sono stati prelevati post mortem campioni di tessuto cerebrale di 34 pazienti depressi e di 55 controlli non affetti da problemi psichiatrici o malattie neurologiche.

L'analisi dei dati ha permesso di dimostrare una fondamentale coerenza delle relazioni di fase nelle attivazioni geniche tra mammiferi, confermando gli schemi di attivazione ciclica della maggior parte dei geni circadiani noti.

In particolare, il modello di attivazione dei ritmi circadiani usato dai ricercatori ha permesso di risalire dal profilo di espressione dei geni all'ora del decesso dei 55 soggetti di controllo, confermata dalle cartelle cliniche. I profili dei soggetti depressi sono invece risultati sfasati di alcune ore, evidenziando alterazioni nella ritmicità circadiana in sei regioni.

Il ritmo circadiano anomalo del cervello depresso
I ricercatori hanno utilizzato modelli di espressione genica per prevedere il momento della morte dei soggetti dello studio (cerchi interni), che hanno confrontarlo con l'ora del decesso registrata nelle cartelle cliniche (cerchi esterni). I due momenti sono strettamente vicini nelle persone sane, come mostrano le brevi linee tra i due punti nel diagramma di sinistra. Ma nelle persone depresse sono  fuori sincrono, come si vede a destra.



Queste alterazioni possono interrompere le relazioni fra le fasi di attivazione tra i singoli geni circadiani e avere un impatto significativo sulla regolazione di numerosi processi neurali e quindi dei comportamenti, coerentemente con la vasta gamma di sintomi depressivi.

In complesso, sono state identificate alcune centinaia di geni che mostravano un chiaro ritmo circadiano, alcuni noti, ma molti altri no, come per esempio il gene per il recettore per la lipoproteina a bassa densità e il gene INSIG1, noti per essere coinvolti nella sintesi dei lipidi e metabolismo, o ancora il gene per il recettore per l'ipocretina, HCRTR2, importante per la regolazione del sonno e della veglia.

La scoperta del ritmo circadiano di questi geni, osservano i ricercatori, apre le porte alla possibilità di identificare nuovi biomarcatori per la depressione, ossia molecole che segnalano il disturbo e che possono essere rilevate nel sangue, nella pelle o nei capelli.

Resta ora da capire perché l'orologio circadiano sia alterato nella depressione. “Abbiamo bisogno di imparare di più sulla natura dell'orologio stesso, e capire se, resettando l'orologio, sia possibile aiutare le persone a stare meglio", ha detto note Huda Akil, uno degli autori dello studio.

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