Un articolo sul sito del World economic forum
afferma che la tragica pandemia di covid-19 si configura come “il più
grande esperimento psicologico” di tutti i tempi. È un “esperimento” che
coinvolge un terzo della popolazione mondiale: Business Insider offre un quadro aggiornato dei paesi che hanno imposto qualche forma di distanziamento sociale.
Stiamo parlando di qualcosa come due miliardi di persone, che
dall’Italia all’Iran, dal Sudafrica alla Colombia, dall’India agli Stati
Uniti si trovano tutte quante in condizioni non certo identiche, ma
analoghe sotto alcuni aspetti cruciali.
L’autrice dell’articolo è la psicologa belga Elke Van Hoof. La quale
aggiunge che c’è da aspettarsi, nella seconda parte del 2020, una
ulteriore epidemia di logoramento (burnout) e assenteismo da
stress. E segnala che, mentre in tutto il mondo si stanno (be’, con
alterna efficacia) predisponendo le misure necessarie per contrastare il
virus, poco o nulla si fa per mitigare gli impatti psicologici. Un’ampia sintesi pubblicata su The Lancet
attesta che l’isolamento può causare depressione, insonnia, ansia,
frustrazione e molte altre conseguenze sgradevoli, e che alcune possono
protrarsi nel tempo.
E senza mezzi termini parla della pandemia come di un enorme (anche se del tutto involontario) “esperimento sociale”.
Ecco di che si tratta: la psicologia sociale studia l’interazione tra
esseri umani e i fattori che possono orientare i loro atteggiamenti e i
loro comportamenti. Uno degli strumenti che i ricercatori usano per
validare le loro ipotesi è organizzare, appunto, “esperimenti sociali”. I
quali consistono nel mettere singoli individui o gruppi di persone in
una condizione o in un contesto nuovo e particolare, senza alcun
preavviso o istruzione su come ci si aspetta che siano le loro reazioni.
Gli psicologi sociali stanno poi a vedere quel che succede, e traggono le loro conclusioni.
Nell’intervista, Harari fa diversi esempi. Che cosa succede quando
un’intera università sposta improvvisamente online tutti i corsi? Che
cosa succede quando milioni di persone cominciano a lavorare da casa? O
se uno stato offre contributi economici indistintamente a tutti?
Di fatto molte cose, che stanno realmente capitando ora nel mondo,
fino all’altro ieri erano al massimo ipotesi di scuola, da verificare
magari, con tutte le cautele, in un lontano futuro.
Harari aggiunge che “non possiamo predire oggi che cosa succederà”.
La rapidità e la pervasività della pandemia hanno obbligato ciascuno a confrontarsi con la propria fragilità individuale
Per maggior chiarezza faccio una piccola digressione ricordando due
noti esperimenti sociali del secolo scorso, il primo breve e disastroso,
il secondo di più lunga durata e, al di là di ogni aspettativa,
virtuoso.
Primo esempio: il controverso Stanford prison experiment.
Si svolge nel 1971, nei sotterranei del dipartimento di psicologia
dell’università di Stanford, modificati per somigliare a una prigione.
Obiettivo: indagare le dinamiche dell’abuso di potere in un gruppo di 24
studenti, scelti tra i più sani ed equilibrati. Gli studenti vengono
divisi a caso tra “carcerieri” e “carcerati”, abbigliati di conseguenza e
invitati a comportarsi in accordo con il loro ruolo. L’esperimento
degenera rapidamente in un susseguirsi di atti violenti, e viene
interrotto ben prima del termine stabilito.
Secondo esempio: l’assai meno disturbante HighScope project,
volto a indagare gli effetti della responsabilizzazione precoce. Siamo
negli anni sessanta, e 123 bambini in età prescolare vengono
arbitrariamente divisi in due gruppi. Mentre il primo gruppo svolge
normali attività nel modo consueto per l’età, nel secondo gruppo i bimbi
sono chiamati a pianificare, svolgere e verificare i propri compiti.
Negli anni successivi sembra che tra i due gruppi non si siano
sviluppate differenze significative. E, quindi, che l’esperimento non
abbia fornito risultati evidenti. La sorpresa arriva dopo un paio di
decenni, quando i ricercatori scoprono che i partecipanti al secondo
gruppo hanno, crescendo, deciso di studiare più a lungo e che fanno
mediamente lavori più appaganti e meglio retribuiti, delinquono di meno,
conducono perfino vite più sane.
Le caratteristiche della persona globalizzata
Proprio perché espongono esseri umani a situazioni inconsuete, le cui conseguenze possono essere imprevedibili, gli esperimenti sociali coinvolgono piccoli gruppi, per tempi limitati, in ambienti controllati. Molti di quelli svolti in passato sono stati comunque considerati poco etici. Tutti possono avere, sia nel breve sia nel lungo periodo, conseguenze che vanno al di là delle previsioni degli stessi ricercatori, e che possono essere positive o negative.
Proprio perché espongono esseri umani a situazioni inconsuete, le cui conseguenze possono essere imprevedibili, gli esperimenti sociali coinvolgono piccoli gruppi, per tempi limitati, in ambienti controllati. Molti di quelli svolti in passato sono stati comunque considerati poco etici. Tutti possono avere, sia nel breve sia nel lungo periodo, conseguenze che vanno al di là delle previsioni degli stessi ricercatori, e che possono essere positive o negative.
Ora, immaginate la scala di questo esperimento sociale che tutti noi
stiamo vivendo, e l’impatto che può avere, al di là delle pesantissime
conseguenze economiche, sui comportamenti, sulle priorità e sui valori, e
sui modi di pensare e di agire di una consistente fetta dell’umanità.
La rapidità e la pervasività della pandemia hanno obbligato ciascuno a
confrontarsi con la propria fragilità individuale. Disvelano e, con
ciò, mettono in crisi, come sottolinea la psicoanalista Julia Kristeva,
le caratteristiche dell’essere umano globalizzato: solitudine,
intolleranza ai limiti e rimozione della mortalità. “Possiamo diventare
più prudenti, forse più teneri, e in questo modo anche più durevoli,
resistenti. La vita è sopravvivenza permanente”, dice Kristeva.
La globalità e l’impatto della pandemia, d’altra parte, invitano a
ristrutturare radicalmente gerarchie di valori e di aspirazioni che
apparivano consolidate e permanenti. Per esempio, c’è la presa di
coscienza del fatto che “la salute, quella di ciascuno di noi, non possa
essere pensata come un bene privato, come una faccenda individuale, ma
abbia, piuttosto, tutte le caratteristiche di un bene comune, di un bene
comune globale”. Ne parla Vittorio Pelligra in un articolo illuminante, che vi invito a leggere per intero.
La scuola dimenticata
E ancora: quante persone, in quanti paesi compreso il nostro, hanno sempre considerato il sistema scolastico come una struttura ancillare e molto meno centrale del sistema produttivo? Ed ecco: si fermano le scuole e tutto il resto si inceppa. Ma non solo: improvvisamente ci si rende conto che senza il malconcio e tuttavia resiliente e tenace sostegno della scuola un’intera generazione rischia di ritrovarsi abbandonata a sé stessa nel mezzo dello tsunami pandemico.
E ancora: quante persone, in quanti paesi compreso il nostro, hanno sempre considerato il sistema scolastico come una struttura ancillare e molto meno centrale del sistema produttivo? Ed ecco: si fermano le scuole e tutto il resto si inceppa. Ma non solo: improvvisamente ci si rende conto che senza il malconcio e tuttavia resiliente e tenace sostegno della scuola un’intera generazione rischia di ritrovarsi abbandonata a sé stessa nel mezzo dello tsunami pandemico.
Come crescerà, e con quali consapevolezze e quali paure, la
generazione covid-19? Quanti rischiano di restare indietro, con quanto
danno sociale, e sì, anche economico?
E quanto è cruciale, se vogliamo che questo non succeda, restituire
alla scuola tutta la centralità e il protagonismo sociale che le
spettano per ruolo?
E poi: ci siamo finalmente convinti che un atteggiamento di rapina
nei confronti dell’ambiente può impattare in modi rapidi, drammatici e
imprevisti sulle singole vite di ciascuno di noi? E che ridurre le
disuguaglianze non è un’opzione da buonisti smidollati, ma l’unico modo
efficace non solo per poter vivere decentemente in pace, ma anche per
mettere in sicurezza tutti quanti?
“La gente deve capire che abbiamo molte scelte. E le decisioni molto
importanti saranno prese nel prossimo mese o due. È una breve finestra
di opportunità in cui la storia si sta spostando, e molto in fretta”,
conclude Harari.
C’è un dato incoraggiante: in questo periodo che ha travolto le
nostre vite ci siamo potuti rendere conto di avere una flessibilità
comportamentale e una capacità di adattamento che mai avremmo
immaginato.
E dunque, sperèm, come dicevano i vecchi della mia estenuata città.
Ma restiamo anche vigili, e teniamo gli occhi bene aperti, perché
l’esperimento sociale si sta svolgendo sulla pelle di tutti noi.
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