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29 novembre 2020

Come i media dovrebbero coprire le notizie di suicidio

La modalità con cui viene riportata la notizia di un suicidio può indurre comportamenti di emulazione oppure di ricerca di aiuto, stigmatizzazione oppure compassione, condanna impudente e sbrigativa di cause esterne alla persona oppure analisi informata e rispettosa dei complessi fattori di salute mentale implicati nella maggior parte dei casi.

Il suicidio è un tema di salute pubblica.

Come specifica a Valigia Blu la Dott.ssa Tiziana Pisano, neuropsichiatra Infantile, Responsabile dell'Unità di Psichiatria dell’infanzia e adolescenza dell'Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze, possiamo parlare di:

1) Mancato suicidio: caso in cui la persona mette in atto un gesto autolesivo con adeguata intenzionalità e mediante mezzi efficaci, ma sopravvive per circostanze impreviste.

2) Tentato suicidio: atto volontario e consapevole, premeditato oppure no, che ha come fine ultimo quello di provocarsi un’autolesione; inoltre si tratta di un gesto che è stato riconosciuto in tempo o dalla persona stessa o da terzi e che per questo ha determinato un intervento tempestivo in grado di salvargli la vita.

3) Ideazione suicidaria: le persone verbalizzano o manifestano l’idea di farsi del male senza però realizzare mai concretamente i loro piani e i loro progetti distruttivi.

4) Nell’ambito delle situazioni di emergenza, riveste una particolare importanza il suicidio dimostrativo, che ha le seguenti caratteristiche: i mezzi con cui si tenta di togliersi la vita non sono adatti a procurarla, ma solo a provocare un certo danno fisico; la persona chiede aiuto subito dopo aver messo in atto il gesto o ha la certezza di essere soccorso immediatamente; la persona ha come scopo quello di attirare attenzione, rivendicare qualcosa oppure “punire” qualcuno attraverso l’autodistruzione.

Una copertura mediatica responsabile contribuisce alla prevenzione del suicidio.

Nei casi di cronaca dell’ultimo periodo, che hanno riguardato il suicidio nei più giovani, non vi è stata da parte dei media un’adesione alle raccomandazioni internazionali su come riportare la notizia, con potenziali conseguenze negative sulla prevenzione, sull’informazione riguardante la complessità dei fattori implicati e sull’incremento della consapevolezza sulla salute mentale e sul suicidio.

Come riassunto da The Mental Elf, servizio online britannico dedicato all’educazione e all’informazione scientificamente fondata sulla salute mentale, nonostante vi siano linee guida adottate a livello nazionale e internazionale per evitare di fornire dettagli espliciti di un suicidio e prevenire il manifestarsi di comportamenti di emulazione, molti professionisti della comunicazione si rifiutano di modificare le loro pratiche, ritenendo che non ci siano prove convincenti per farlo. Tuttavia, è proprio di quest’anno un altro studio internazionale rivolto a esaminare i risultati della letteratura scientifica sull’effetto Werther e cioè sull'associazione tra la copertura mediatica dei suicidi, in particolare il suicidio di persone famose, e il successivo incremento di suicidi nella popolazione generale.

I risultati hanno ulteriormente dimostrato un aumento dei suicidi nel periodo successivo alla notizia della morte di una celebrità per suicidio e, quando veniva riportata la modalità di suicidio, un aumento del numero di suicidi con la stessa modalità. Per gli autori, questi risultati possono essere spiegati da tre meccanismi: l’identificazione con la persona deceduta, che potrebbe verificarsi più frequentemente quando i suicidi riportati sui media riguardano persone di status sociale elevato; l’aumento della copertura dei media sui suicidi che porta alla normalizzazione del suicidio come modo accettabile per affrontare le difficoltà; le informazioni sui metodi del suicidio. Questi meccanismi contribuirebbero a un incremento dei pensieri suicidari nelle persone vulnerabili e alla pianificazione del suicidio attraverso una modalità specifica.

La copertura mediatica non informata può avere un impatto negativo anche sui famigliari e sulle persone care che affrontano il lutto per la perdita improvvisa. Il lutto stesso aumenta il rischio di suicidio e di malattie psichiatriche e, se a questo si aggiunge la diffusione di notizie intrusive, la vulnerabilità risulta incrementata. In uno studio di analisi qualitativa, la maggioranza di persone intervistate ha descritto esperienze negative rispetto a come è stata riportata la notizia del suicidio del proprio caro (maschio nel 77% dei casi e con un’età media di 33 anni) sulla stampa. L’analisi tematica ha rilevato che le esperienze negative (con reazioni prevalenti di disgusto e angoscia) erano associate ai metodi ingannevoli di ricerca di informazioni, alle rappresentazioni imprecise della persona morta e alla focalizzazione su dettagli sensazionalistici. Quest’ultimo aspetto, assieme alla messa in evidenza della storia in prima pagina, era percepito da molti come funzionale all’obiettivo del giornalista rivolto ad attirare l'attenzione dei lettori più che a descrivere accuratamente i fatti. Il valore attribuito al lavoro dei giornalisti e l’esperienza intrusiva subita dalle notizie irrispettose sono sintetizzati nel commento di una donna intervistata cinque anni dopo il suicidio del suo compagno: "So che è il loro lavoro, ma hanno reso tutto molto più difficile".

Il suicidio nei più giovani

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), quasi 800.000 persone di tutte le fasce di età muoiono ogni anno per suicidio e per ognuno di essi ci sono molti più tentativi ogni anno. Il 79% dei suicidi si verifica nei paesi a basso e medio reddito pro-capite. Nella fascia di età 15-19 anni il suicidio è la terza causa di morte. Nella maggior parte dei casi, le persone che sono morte per suicidio soffrivano di una malattia mentale e la depressione è quella più comunemente riportata.

I suicidi richiedono strategie globali e locali di prevenzione caratterizzate da interventi multidisciplinari tempestivi e basati sulle evidenze.

via OMS

I bambini, come gli adolescenti e gli adulti, sono esposti a pensieri suicidari e possono considerare la morte come un’opzione per porre fine alla propria sofferenza. Gli studi dimostrano che a partire da circa nove anni si può avere una conoscenza approfondita della morte e del suicidio.

Secondo le statistiche nazionali e internazionali i suicidi dei bambini sono rari. Tuttavia, il fenomeno può risultare sottostimato dal fatto che in molti casi le morti per suicidio nei più giovani sono registrate ufficialmente come involontarie o conseguenti a incidenti.

Il tasso di suicidio è circa quattro volte più alto nei maschi rispetto alle femmine, che però tentano il suicidio tre volte più spesso dei maschi.

Tra i bambini più piccoli, i tentativi di suicidio sono spesso impulsivi e possono essere associati a tristezza, confusione, rabbia o a disturbi di attenzione e iperattività. Tra gli adolescenti, i tentativi di suicidio possono essere associati a stress, insicurezza, pressione per il successo, incertezza finanziaria, delusione e perdita.

Tutti i bambini possono sentirsi tristi, confusi, preoccupati o arrabbiati: solo quando questo stato di malessere dura a lungo e influenza notevolmente la loro quotidianità modificandola è opportuno richiedere un aiuto specialistico.

La depressione, i pensieri suicidari e i comportamenti autolesionistici possono essere curati. Affinché questo avvenga, il disturbo mentale deve essere riconosciuto, diagnosticato e inserito in un piano di trattamento multidisciplinare.

Identificare tempestivamente i bambini con pensieri suicidari permette di attuare gli interventi terapeutici appropriati e di ridurre il rischio di suicidio che, in assenza di cure, aumenta con l’età.

Qualsiasi cambiamento rilevante e duraturo nel comportamento può essere un segnale di avvertimento. Nei bambini e ragazzi tale cambiamento si può manifestare con un complesso di sintomi depressivi: tristezza prolungata o pianti frequenti; trascuratezza delle attività solitamente apprezzate; preoccupazioni per la morte (nei testi scritti, nei disegni, nei sogni); difficoltà di concentrazione ed esordio di difficoltà scolastiche (calo del rendimento, assenze frequenti); generale insoddisfazione o disinteresse; ritiro sociale (dalla famiglia, dagli amici, dalle attività sportive e sociali); disturbi del sonno; cambiamenti di appetito; riferimento di dolori fisici; frequenti e molteplici paure; abuso di sostanze; comportamenti rischiosi; espressione di pensieri e piani suicidi (nei testi scritti o nella conversazione). I segnali di avvertimento possono essere osservati a scuola, a casa o nella cerchia di amici e questo richiede una consapevolezza diffusa affinché non siano trascurati, siano segnalati agli specialisti sul territorio (pediatra, neuropsichiatra infantile) e si sia in grado di manifestare vicinanza e ascolto.

Alcuni fattori possono esporre le persone a un rischio di suicidio più elevato rispetto ad altri. "Per quanto riguarda i mezzi e le modalità - aggiunge la Dott.ssa Pisano - negli adolescenti l’ingestione di grandi quantità di farmaci o sostanze tossiche risulta quello preponderante; a questo fanno seguito l’utilizzo di armi bianche (self-cutting - autolesionismo, ad esempio) e la defenestrazione. Sono stati individuati diversi fattori di rischio che concorrono all’ideazione o alla realizzazione del desiderio suicidario".

Nel caso di adulti, come nel caso di bambini e adolescenti, i disturbi psichiatrici rappresentano senza alcun dubbio un fattore di primaria importanza, considerato che esistono diverse condizioni di malattia mentale che possono sfociare o portare a questo tragico gesto. I disturbi dell’umore, e in particolare quelli a carattere depressivo, sono i più comuni: ne è affetto il 50-65% di tutti gli adolescenti che tentano il suicidio. In coda ci sono poi altri disordini, come le psicosi o i disturbi della personalità borderline, che, sebbene in percentuale decisamente inferiore sono annoverabili fra le cause predisponenti al rischio suicidario. Inoltre, i fattori di rischio identificati sono: storia familiare di suicidio, abuso di sostanze; malattia fisica; autolesionismo; precedenti tentativi di suicidio; esposizione a violenza fisica o sessuale; insuccessi scolastici; bullismo; instabilità del contesto famigliare; perdita di una persona cara; mancanza di supporto sociale; difficoltà nell’affrontare l’orientamento sessuale; accesso ad armi, a farmaci o a sostanze non commestibili.

L'uso di Internet è stato riscontrato in circa un quarto dei decessi per suicidio di bambini e giovani e appare correlato alla ricerca di informazioni sui metodi di suicidio, alla pubblicazione di messaggi con contenuti suicidi o all'essere vittima di bullismo online. Più di un quarto dei bambini e dei giovani che sono morti per suicidio, stava affrontando esami o aspettava l’esito di esami al momento della morte.

Alcuni fattori o circostanze possono impedire a una persona di pensare al suicidio e aumentare la propria capacità di recupero. Nei più giovani i fattori protettivi comprendono: relazioni positive con familiari, insegnanti, allenatori, coetanei; adeguate autostima e autoefficacia; speranza per il futuro; abilità di adattamento e risoluzione dei problemi; ambiente domestico sicuro; esperienze scolastiche positive; abilità di comunicare emozioni, pensieri e bisogni.

Rischio di suicidio e prevenzione nell’emergenza della COVID-19 e del suo impatto

L’ipotesi che da quest’anno si osservi un incremento dei suicidi nella popolazione globale e in particolare nei paesi a basso e medio reddito pro-capite si basa sulle morti registrate negli Stati Uniti durante la pandemia influenzale del 1918-1919 e tra gli anziani di Hong Kong durante l'epidemia di SARS del 2003.

In particolare, per quanto riguarda la situazione attuale, gli effetti della paura, del distanziamento fisico e dell’autoisolamento legati all’emergenza sanitaria e alla pandemia potrebbero essere esacerbati dalle conseguenze della crisi economica che inizia a colpire diverse categorie di lavoratori e lavoratrici. Un ulteriore rischio potrebbe derivare dallo stigma verso gli individui affetti dalla COVID-19 e le loro famiglie. In questo quadro, le persone con disturbi psichiatrici potrebbero sperimentare un peggioramento dei sintomi e le altre persone potrebbero sviluppare un esordio di problemi di salute mentale, in particolare depressione, ansia e stress post-traumatico (tutti associati a un aumento del rischio di suicidio).

Per far fronte ai rischi e soprattutto per pianificare la prevenzione su larga scala, una rete internazionale di specialisti - la International COVID-19 Suicide Prevention Research Collaboration – ha identificato gli interventi generali e specifici da attuare attraverso una risposta interdisciplinare e con la vigilanza e la collaborazione internazionale.

Alcune strategie elencate nell’articolo di David Gunnell e altri pongono l’attenzione sul fatto che alcune persone a rischio di suicidio potrebbero non chiedere aiuto, temendo che i servizi siano sovraccarichi di richieste e che i colloqui in presenza possano esporre al contagio. I servizi di salute mentale dovrebbero essere incentivati ad attivare percorsi di valutazione e di cura a distanza e a promuovere la formazione del personale sulle nuove modalità di lavoro. Altre persone a rischio potrebbero scegliere di rivolgersi alle linee telefoniche di emergenza del volontariato che dovrebbero essere potenziate, in modo da garantire tutele e flessibilità ai volontari. Gli interventi e le applicazioni online basati sull'evidenza dovrebbero essere resi disponibili a supporto delle persone a rischio di suicidio.

Il rafforzamento dei servizi territoriali di salute mentale dovrebbe già essere una priorità a cui le istituzioni sono chiamate a rispondere con adeguati finanziamenti e un auspicato coordinamento.

Anche in questo contesto gli autori evidenziano che la comunicazione irresponsabile sui suicidi da parte dei media può portare a un loro incremento. Analogamente, l'esposizione ripetuta a storie sugli effetti negativi della crisi – senza fornire possibili opzioni di aiuto e di superamento - può aumentare la paura, la disperazione e il rischio di suicidio.

Raccomandazioni per la copertura mediatica responsabile dei suicidi

La notizia di un suicidio viene riportata dai media perché è rilevante per una comunità. Riportare questo genere di notizie richiede formazione e responsabilità affinché i media assolvano al loro ruolo fondamentale nella prevenzione e non scatenino le conseguenze dimostrate di emulazione e stigma. Una copertura responsabile del suicidio aumenta la consapevolezza nella popolazione, informa sulla complessità del problema, fornisce risorse utili per chiedere aiuto e può offrire opzioni alternative per affrontare un periodo di crisi e di vulnerabilità.

Nel 2017, l’OMS ha pubblicato, nell’ambito delle iniziative mondiali per la prevenzione dei suicidi, la seconda versione di un manuale dedicato ai professionisti della comunicazione:

“Le storie che mostrano la ricerca di aiuto (adattamento positivo) in circostanze avverse possono rafforzare i fattori protettivi o il contrasto al suicidio e quindi contribuire alla sua prevenzione. La copertura mediatica del suicidio dovrebbe sempre includere informazioni su dove cercare aiuto, indicando preferibilmente i servizi accreditati di prevenzione del suicidio disponibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Gli effetti protettivi del giornalismo responsabile sul suicidio sono stati indicati nella letteratura scientifica come effetto Papageno, dal nome del personaggio di Papageno - nell'opera ‘Il flauto magico’ di Mozart - che decide di suicidarsi temendo di aver perso il suo amore, ma quando gli viene mostrato un modo alternativo per uscire dalla disperazione sceglie all'ultimo momento di vivere. Le raccomandazioni devono essere adattate sia ai media tradizionali che ai media digitali e dovrebbero mirare a raggiungere il maggior numero di persone possibile per la prevenzione del suicidio”.

Nel manuale sono schematizzate le indicazioni su Cosa fare e Cosa non fare nel riportare la notizia di un suicidio.

Cosa fare

  • Fornire informazioni accurate su dove cercare aiuto.
  • Informare il pubblico sui fatti relativi al suicidio e sulla prevenzione del suicidio, senza diffondere miti.
  • Fornire storie su come affrontare i fattori stressanti della vita o i pensieri suicidari e su come ottenere aiuto.
  • Prestare particolare attenzione quando si denuncia il suicidio di una celebrità.
  • Fare attenzione quando si intervistano familiari o amici in lutto.
  • Riconoscere che gli stessi professionisti della comunicazione possono essere influenzati dalle notizie di suicidi.

Cosa non fare

  • Non mettere in evidenza le notizie di un suicidio e non prolungarne la presenza.
  • Non usare un linguaggio che sensazionalizza o normalizza il suicidio, né che lo presenti come una soluzione costruttiva ai problemi.
  • Non descrivere esplicitamente la modalità utilizzata.
  • Non fornire dettagli sul luogo.
  • Non ricorrere a titoli sensazionalistici.
  • Non utilizzare fotografie, video o collegamenti ai social media.

Reporting on suicide ha sviluppato una serie di raccomandazioni molto chiare per la copertura del suicidio, attraverso la collaborazione degli esperti nella prevenzione del suicidio, di diverse organizzazioni internazionali di prevenzione e di salute pubblica, scuole di giornalismo, organizzazioni di giornalisti ed esperti di sicurezza di Internet.

 

Infine, tra le risorse fornite dall’associazione internazionale per la prevenzione del suicidio – International Association for Suicide Prevention, IASP – ci sono anche le raccomandazioni pubblicate in Giappone su come riportare le notizie dei suicidi nei giovani:

  • Evitare resoconti eccessivi sul suicidio giovanile.
  • Astenersi da spiegazioni eccessivamente semplificate.
  • Evitare la glorificazione e l’esagerazione del suicidio.
  • Astenersi dal descrivere in dettaglio la modalità del suicidio.
  • Riferire del suicidio dei giovani in modo anonimo.
  • Enfatizzare le misure di prevenzione.
  • Includere una lista di professionisti della salute mentale.
  • Stabilire un rapporto più stretto con i professionisti della salute mentale nella comunità prima del verificarsi di una crisi.
  • Preparare da sé e in anticipo un codice per la copertura.

La comunicazione responsabile del suicidio aiuta a rompere i miti, a non cadere nella pericolosa approssimazione, a incrementare l’informazione sulla salute mentale e la consapevolezza in una comunità, a diffondere compassione e ascolto, a motivare e facilitare la ricerca di aiuto. Il ruolo di prevenzione dei mezzi di comunicazione diventa tanto più cruciale nei periodi di crisi e di incertezze come quello che stiamo vivendo in quest’anno di pandemia che, come popolazione, siamo riusciti ad affrontare con altruismo e solidarietà, benché in qualche caso riluttanti, con lo scopo comune di salvare vite.

 

 

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In caso di emergenza, chiama il 118. Se ci sono amici o conoscenti con pensieri suicidi si può chiamare il Telefono amico allo 02 2327 2328, tutti i giorni dalle 10 alle 24, o il servizio della Samaritans Onlus, attivo dalle 13 alle 22, al numero verde 800 86 00 22.

Esiste inoltre AppToYoung, una app per smartphone e tablet, gratuita e facile da scaricare. Si può trovare su GooglePlay e AppleStore e la privacy è garantita al 100%. Tutti i dati sono protetti. Si può chattare per parlare con i ragazzi del Team Youngle, che hanno tutti tra i 18 e 21 anni o parlare direttamente al telefono, linea di ascolto attiva 24 ore su 24. Con AppToYoung, si può aiutare un amico o conoscente che non sa come fare a risolvere un problema: basta scegliere la funzione “Voglio parlare di qualcuno”, e poi si può parlare con il Team, chattando o parlando al telefono.

 

 

4 giugno 2020

Psicologia ONLINE, indicazioni dell’APA (American Psychological Association)

Questo articolo ha lo scopo di illustrare ai professionisti sanitari, finora principalmente impegnati nella tradizionale terapia in studio, i benefici che i servizi di telepsicologia possono apportare al loro lavoro. L’articolo presenterà, in maniera pratica e passo per passo, l’applicazione e l’implementazione della metodologia, che contribuirà ad aumentare la competenza degli psicologi e degli psicoterapeuti.

La fornitura di servizi psicologici è andata oltre i confini dell’ufficio personale, dell’ospedale, delle associazioni e della clinica, ed è riuscita a superare anche restrizioni di accesso, liste di attesa, malattie, disabilità, lavoro, stigmatizzazione, trasferimento e persino condizioni meteorologiche. La telepsicologia ha infatti collegato i clienti con gli psicologi in modi che la tradizionale terapia “in ufficio” non ha potuto, migliorando la continuità e la specializzazione delle cure.

La telepsicologia: che cos’è?

Strumenti di telepsicologia sono stati inconsapevolmente utilizzati dai medici già da molti anni, probabilmente senza pensare di star già utilizzando la pratica della telepsicologia. Dato che la telepsicologia è definita come “la fornitura di servizi psicologici mediante tecnologie di telecomunicazione“, i clinici che hanno utilizzato telefono, dispositivi mobili e fax durante il loro lavoro con i clienti hanno utilizzato metodologie di telepsicologia!

I progressi nelle telecomunicazioni hanno ampliato la pratica della telepsicologia per includere la fornitura di servizi psicologici utilizzando dispositivi e attività come videoconferenza interattiva, e-mail, chat e messaggistica, per non parlare dell’uso di Internet con blog, siti Web di auto-aiuto e social media. La comunicazione interattiva con i clienti che avviene in tempo reale, ad esempio al telefono o tramite videoconferenza, viene spesso definita sincrona, mentre la comunicazione tramite e-mail, fax o forum di discussione è considerata asincrona.

La telepsicologia può essere utilizzata per aumentare le sessioni di psicoterapia ‘di persona’ o come metodo principale per fornire il servizio clinico. Gli usi più comuni della telepsicologia per aumentare le sessioni di persona comprendono sessioni telefoniche per verificare i progressi o per affrontare una questione urgente, inviare via e-mail con informazioni supplementari o collegamenti a risorse, inviare messaggi di testo con appuntamenti, l’uso di app di salute mentale per il monitoraggio o il monitoraggio stesso dei comportamenti con il completamento di strumenti di test o valutazione online.

E’ utile?

La telepsicologia è una risorsa valida e preziosa per gli psicologi e per il pubblico. Ai professionisti che stanno prendendo in considerazione l’aggiunta della telepsicologia alle loro modalità di terapia spetta comprenderne sia il potenziale, per fornire servizi necessari e di qualità, sia l’insieme di conoscenze, strumenti, competenze, preparazione e formazione,  linee guida e i regolamenti che regolano la pratica legale ed etica della telepsicologia,per finire coni i rischi e le strategie di gestione dei rischi.

Suggerimento per la gestione del rischio: gli psicologi devono cercare esperienze di formazione adeguate a sviluppare e mantenere la competenza nel tenere questi servizi di telepsicologia.

Esperienze di formazione continua in settori di competenza clinica, tecnica, emotiva e culturale possono essere ottenute attraverso webinar, seminari, revisioni della ricerca e consulenza. Dato che si tratta di modalità in via di sviluppo, bisogna rimanere aggiornati sugli sviluppi della tecnologia ma anche sulle questioni etiche, commerciali e normative, sugli studi clinici e su tutti gli altri fattori che condizionano questa modalità di offerta di servizio terapeutico.

Perché è un settore in crescita?

Le persone in cerca di un sostegno psicologico si sono scontrate con limiti che ne hanno spesso impedito l’accesso, causando la mancata assistenza psicologica necessaria. La telepsicologia può ridurre o eliminare molte difficoltà all’accesso alle cure mentali. Di conseguenza, la telepsicologia offre anche opportunità che non sono realizzabili con le tradizionali terapie cliniche in studio. Di seguito sono descritte limiti e opportunità di questa metodologia.

Barriere geografiche

La vita rurale è stata identificata come una sfida per i servizi di benessere psicologico a causa dei suoi diversi problemi, della difficile situazione di disparità di salute, inaccessibilità fisica e mancanza di informazioni. Se però viene garantito l’accesso alla tecnologia di base, la videoconferenza è ora possibile con una minima formazione tecnologica per il cliente in materia di sicurezza, riservatezza e protocollo per l’accesso e la gestione dei dati. La telepsicologia, quindi, offre l’opportunità di servizi psicologici indipendentemente dalla posizione e dall’accesso fisico dimostrando una grande utilità nell’aumentare significativamente il trattamento della salute mentale per queste persone.

Status di povertà economica

Le persone che vivono in condizioni di povertà incontrano molteplici barriere, alcune prettamente personali mentre altre causate e mantenute dal contesto e dagli individui appartenenti ad esso, in cui le persone in condizioni di povertà sono spesso costrette a vivere. Per accedere ai servizi psicologici di persona, le persone che vivono in condizioni di povertà devono uscire dal proprio ambiente in circostanze spesso intimidatorie e ansiogene. L’intimidazione può essere tanto forte da ridurre la speranza di un aiuto utile, scoraggiando la ricerca di una cura.

Isolamento sociale

Le persone che potrebbero cercare servizi di sostegno psicologico possono vivere in zone rurali, piccole città o aree urbane, ma se stanno vivendo esperienze di depressione, ansia o altri sintomi che tendono a isolarli dalla loro comunità o da altri che potrebbero essere all’interno del loro gruppo di supporto, l’accesso fisico ai servizi risulterebbe comunque irrilevante. Gli isolati diventano solo più isolati in quanto evitano l’accesso alle informazioni, gli eventi culturali, l’intrattenimento, sport, cerimonie religiose e attività della comunità. Questi individui diventano quindi invisibili alle proprie comunità e ai propri amici. La telepsicologia, per queste persone, è un’opportunità che permette di impegnarsi in un rientro graduale nel loro lavoro e nelle comunità sociale impegnandosi in servizi che non richiedono un iniziale abbandono delle loro zone di comfort.

Limiti economici e del trasporto pubblico

Le persone che vivono nelle aree urbane possono avere difficoltà di trasporto tanto quanto coloro i quali vivono in zone rurali. In genere, i limiti del trasporto pubblico riguardano la non disponibilità del servizio, il costo proibitivo o la perdita di tempo irragionevole. I limiti economici vanno oltre la semplice tariffa per il servizio, in quanto si riscontrano problemi sia nel costo del trasporto, sia nella durata delle ore impiegate per raggiungere il luogo di lavoro che viene sottratto al tempo libero. Essere esperto dei piani assicurativi, comprendere i parametri contrattuali e superare persistentemente con successo sia i limiti del trasporto pubblico sia la burocrazia finanziaria, sono spesso tutti fattori di risoluzione anticipata. La telepsicologia rimuove questi ostacoli, sebbene rimanga il costo dei servizi. Tuttavia, la rimozione di altri costi e barriere logistiche costituisce un vantaggio significativo nella ricerca e nel proseguimento dei servizi di salute mentale.

Barriere attitudinali

Sebbene le campagne di informazione e educazione pubblica, così come altri sforzi di servizio, abbiano fatto importanti passi in avanti sull’evitare una stigmatizzazione dei bisogni di salute mentale, lo stigma non è stato superato da molti che invece ne trarrebbero beneficio. Pregiudizio familiare, convinzioni culturali, stereotipi sociali e anticipazione di vergogna e ridicolizzazione impediscono a molte persone di accedere ai servizi di cui hanno bisogno. Gli individui che sono membri di popolazioni emarginate possono essere riluttanti a cercare servizi dato lo sfruttamento e il maltrattamento a cui sono stati storicamente accostati. La telepsicologia offre privacy e protezione da fonti esterne di critica e dall’impegno con altri in merito ai servizi. Gli individui che sono autocritici, tuttavia, possono ancora sperimentare qualche stigmatizzazione, ma la privacy della telepratica e la competenza del clinico possono aumentare l’accettazione dei servizi.

Accesso a competenze specifiche

Negli ultimi anni si sono sviluppate pratiche specialistiche che offrono agli individui un trattamento nei disturbi alimentari, terapia comportamentale dialettica, terapia traumatologica, abuso di sostanze e altre esigenze terapeutiche mirate. Coloro che hanno superato o non sperimentato le altre barriere menzionate possono scoprire che i professionisti nella loro comunità non sono competenti nel trattare le loro preoccupazioni specifiche. La pratica intergiurisdizionale rimane una limitazione a seconda della posizione del cliente e del professionista; tuttavia, all’interno di uno stato o di una giurisdizione, la pratica a distanza è un’opportunità offerta dalla telepratica che elimina i viaggi e ulteriori barriere logistiche.

Limiti di natura pratica/logistica

Le modalità terapeutiche classiche per i servizi psicologici che prevedono l’incontro tra terapeuta e paziente sono state accettate negli anni come protocollo etico e professionale da applicare in ogni occasione. Molte di queste pratiche sono però proibitive per chi necessità di un colloquio clinico. Ad esempio, l’ora di 50 minuti, ossia l’incontro settimanale che in genere si richiede al paziente, risulta accessibile per un contesto d’ufficio. Le persone che hanno però più lavori, programmi di attività irregolari o nessun controllo sulle loro esigenze di lavoro spesso non sono in grado di rispettare il convenzionale colloquio di un’ora. Anche coloro che hanno figli, familiari ammalati e responsabilità per gli altri potrebbero non essere in grado di programmare in anticipo in modo prevedibile. La telepsicologia richiederebbe ancora la pianificazione e la programmazione; tuttavia, le difficoltà poste da ulteriori requisiti di tempo e variabili imprevedibili possono essere risolte più facilmente attraverso le telecomunicazioni.

Cosa si dovrebbe fare nell’applicazazione dei servizi di telepsicologia

Gli psicologi dovrebbero essere attenti e strategici nel decidere se utilizzare le tecnologie di telecomunicazione. Le seguenti sono considerazioni su quando scegliere di implementare la telepsicologia con clienti specifici e i loro particolari problemi:

  • L’uso dei servizi di telepsicologia dovrebbe essere considerato tanto efficace quanto i servizi tradizionali e dovrebbe essere determinato da risultati basati su prove riguardanti le variabili del cliente e l’applicazione delle tecniche o degli approcci teorici impiegati.
  • Rivedere la letteratura disponibile per supportare l’uso della telepsicologia con la diagnosi specifica di ciascun cliente.
  • Lo psicologo dovrebbe rivedere le leggi attuali, nonché le regole normative al fine di garantire pratiche regolari e legali.
  • Prendere una decisione sull’uso della tecnologia principalmente sulla base dell’adeguatezza per il singolo cliente.
  • Sviluppare un piano per l’utilizzo della telepsicologia e della tecnologia con i clienti che delineino un profilo logico-razionale. Discutere il motivo dell’introduzione della modalità di telepsicologia con il cliente e ottenere il suo consenso informato.
  • Discutere e affrontare le nuove questioni di riservatezza e sicurezza che sorgono con l’introduzione della componente telepsicologica in terapia, compresa la protezione dell’area in cui il paziente si troverà durante le sessioni di telepsicologia.
  • Esercitarsi a utilizzare l’attrezzatura e il software per garantire che il paziente sia a suo agio e in grado di impegnarsi in telepsicologia.
  • Effettuare un monitoraggio continuo per garantire che la telepsicologia continui a soddisfare lo scopo terapeutico previsto.
  • Una competenza tecnologica di base dovrebbe essere garantita sia per lo psicologo che per il cliente. Nel valutare i progressi di un cliente, lo psicologo dovrebbe anche valutare l’uso della tecnologia.
  • Unirsi o creare una rete permanente di altri psicologi che usano la tecnologia nel loro lavoro per fornire consulenza e supporto continui.
  • Effettuare una valutazione periodica dell’utilità clinica della tecnologia utilizzata per determinare se continuare a utilizzarla.

Domande da porsi prima e durante l’uso della telepsicologia

Inoltre, gli psicologi che decidono di integrare la telepsicologia nelle loro pratiche saranno in grado di rispondere a queste domande in modo sicuro e completo:

  • Quanto ne so della ricerca clinica/letteratura professionale, comprese le linee guida, sull’uso della telepsicologia? Esistono alternative migliori, più sicure o più efficaci?
  • Quanto ne so delle politiche legali o regolamentari nel mio stato che regolano l’uso di servizi sanitari telematici?
  • Quanto ne so della tecnologia che voglio usare nella mia pratica? In particolare, quali sono i benefici e quali sono i rischi?
  • Come monitorerò e garantirò l’adeguatezza del trattamento, la competenza tecnologica, la riservatezza e la sicurezza, la conoscenza delle risorse di emergenza e l’apprendimento continuo?
  • Come identificherò e gestirò il rischio?

Conclusione

La tecnologia trasforma la vita quotidiana in modi impensabili fino a qualche anno fa. Anche la psicologia è ugualmente influenzata, con conseguente bisogno di guida sia per gli psicologi junior che per i professionisti più esperti. Gli studenti e i neopsicologi stanno imparando ad applicare gli standard terapeutici alla loro familiarità con la tecnologia, mentre gli psicologi che non sono esperti di tecnologia stanno imparando ad applicare nuovi strumenti alla loro esperienza nella pratica tradizionale. È evidente come ci sia spazio per tutti, per imparare e per adattarsi.

Questo articolo ha guidato il lettore attraverso le fasi preliminari della pratica telepsicologica. Una nuova modalità di pratica può essere scoraggiante, in particolare una come la telepsicologia, che richiede un riorientamento del modo in cui gli psicologi pensano, degli standard di cura e di come conducono le loro pratiche. Gli psicologi che stanno prendendo in considerazione la telepsicologia in genere vogliono sapere quanto quali sono i vantaggi e i suoi limiti, cosa devono sapere, come possono assicurarsi di esercitare nel loro campo di applicazione e nei limiti della pratica etica e legale, cosa devono fare per procedere.

Queste e altre domande hanno una risposta qui così come suggerimenti  che forniscono una guida agli psicologi nel loro processo decisionale. I professionisti della psicologia sono all’avanguardia nell’offrire i servizi ai clienti / pazienti negli ambienti fiorenti in cui praticano e nell’espandere l’ambito della pratica. Gli psicologi possono scegliere il grado, la profondità, il tipo e la forma in cui partecipano alla telepsicologia. Questo articolo ha lo scopo di aiutare a fare queste scelte.

 

Fonte:
formazionecontinuainpsicologia.it

Traduzione libera dell’articolo “Telepsychology Practice: Primer and First Steps” di APA

14 maggio 2020

Coronavirus Anxiety Scale (CAS)

Metodologia e composizione del campione

L’indagine è stata condotta online dalle ore 18:30 di giovedì 7/5/2020 alle ore 10:00 di sabato 9/5/2020, con accessibilità dal link https://it.surveymonkey.com/r/7Q9HHMW, sulla base del test clinico di screening per “ansia disfunzionale associata alla crisi Covid-19” Coronavirus Anxiety Scale (CAS) della Newport University (USA), nella versione italiana utilizzabile liberamente, curata da Marco Mozzoni e Elena Franzot. Il tempo medio di risposta al test online è stato di 60 secondi.
L’obiettivo era di rilevare nei soggetti la presenza nelle ultime due settimane (indicativamente la n.18 e la n.19 del 2020) di 5 sintomi considerati fattori principali per diagnosi da disturbo specifico suddetto: stato di confusione, disturbi del sonno, immobilismo tonico, perdita di appetito, stress addominale. Alle risposte sono stati attribuiti punteggi in funzione della frequenza del sintomo, da 0 (mai) a 4 (quasi tutti i giorni). Cut-off diagnostico: 9 al punteggio totale.
Hanno risposto in totale 130 soggetti, principalmente nella giornata di venerdì 8 maggio 2020, di cui 61,54% femmine, 31,54% maschi, 6,92% non dichiarati, così distribuiti per area geografica: 70,77% Nord, 11,54% Centro, 14,62% Sud, altro 3,08%. In merito alle fasce d’età: 17,69% fino a 20 anni, 22,31% da 21 a 30, 26,15% da 31 a 40, 19,23% da 41 a 50, 11,54% da 51 a 60, 3,08% da 61 a 70. È stato garantito il rispetto dell’anonimato e delle normative sulla privacy.
L’indagine resta attiva per registrare eventuali variazioni significative future che potranno essere oggetto di un nuovo rapporto comparativo.
Qui la versione italiana della Coronavirus Anxiety Scale (PDF), liberamente utilizzabile, messa a punto dai clinici Marco Mozzoni e Elena Franzot

Nella fase di “rilancio” l’80% degli Italiani soffre ancora di stati di confusione, immobilismo tonico, insonnia, perdita di appetito, stress addominale…
Più dell’80% degli Italiani interpellati ha dichiarato di avere sofferto nelle ultime due settimane di almeno una condizione psicofisiologica, tra cui stati di confusione, disturbi del sonno, immobilismo tonico, perdita di appetito, stress addominale; il 23% sarebbe stato interessato da tutti e cinque i sintomi insieme, con frequenza variabile.

Lo rivela il gruppo di ricerca indipendente Brainfactor Research, che in questi giorni ha condotto una indagine utilizzando la Coronavirus Anxiety Scale (CAS), il primo test di screening per “ansia disfunzionale associata alla crisi Covid-19” messo a punto dalla Newport University in USA.

Da cui emerge che il 22% della popolazione censita avrebbe in corso un disordine specifico di natura ansiosa collegato alla pandemia, di cui i cinque sintomi rilevati rappresentano i fattori principali. Tra le femmine il dato sale al 24% mentre tra i maschi si abbassa al 15%. Tale percentuale varia sensibilmente anche per area geografica, con Centro e Sud Italia che superano la media, ottenendo complessivamente il 34%, mentre il Nord fa registrare paradossalmente soltanto un 16% di prevalenza.

Una cosa è certa. I più colpiti dalla crisi sono i giovanissimi. Oltre il 39% degli under-20 è risultato infatti “patologico” alla CAS (e in questa fascia d’età ben il 96% dei soggetti ha sofferto di almeno un disturbo tra i cinque). L’indicatore scende progressivamente più si sale negli anni, passando per il 24,14% nella fascia 21-30, il 24% nel gruppo 41-50, il 21% nei 51-60, fino a raggiungere cifre prossime allo zero negli over-60, con un’unica eccezione alla tendenza, rappresentata dall’8,82% nei 31-40 anni.

In generale, tra i sintomi più diffusi vince lo stato di confusione (sentirsi frastornati, confusi, indeboliti), sperimentato almeno una volta nel periodo dal 77% dei soggetti; seguono a stretto giro l’immobilismo tonico (sentirsi “paralizzati” o “bloccati”) al 57%, i disturbi del sonno (difficoltà ad addormentarsi, insonnia) al 56%, lo stress addominale (nausea e problemi allo stomaco) al 38%; chiude la classifica la perdita di appetito, che ha toccato solo il 33% della popolazione censita.

Anche qui, pur mantenendo lo stesso pattern di graduatoria dei sintomi, le percentuali salgano di molto nella popolazione dei giovanissimi (under-20), dove almeno una volta nelle due settimane lo stato di confusione ha interessato oltre il 91% dei soggetti, l’immobilismo tonico il 74%, i disturbi del sonno il 70%, lo stress addominale il 61%, la perdita di appetito il 48% di questa generazione fragile.

Per quanto riguarda infine le frequenze specifiche di permanenza dei sintomi nel periodo di riferimento, lo stato di confusione è stato provato per “diversi giorni” dal 23% del totale generale dei soggetti, a cui va aggiunto un 8% che lo ha provato per “più di una settimana” e un significativo 11% “tutti i giorni”. L’immobilismo tonico invece ha disturbato il 18% per “diversi giorni”, il 7% “più di una settimana”, il 4% “tutti i giorni”. I disturbi del sonno infine hanno interessato per “diversi giorni” il 12%, per “più di una settimana” il 7%, “tutti i giorni” il 6% dei soggetti.

“Più di una persona su cinque che incontriamo per la strada soffre di un disturbo importante, che andrebbe trattato clinicamente. Tra i giovanissimi la situazione è gravissima: quasi uno su due è risultato patologico alla CAS. In queste condizioni, di che rilancio vogliamo parlare?”, denuncia Marco Mozzoni, neuropsicologo e direttore di Brainfactor.

“I decisori dovrebbero avviare uno screening generale nella popolazione con strumenti come la Coronavirus Anxiety Scale, test clinico di libero utilizzo di cui abbiamo curato la versione italiana, perché è proprio nel momento della ripresa che vengono a galla i disordini sedimentati nella fase protratta di privazione delle libertà”, spiega Mozzoni.

“Gli under-20 rischiano infatti di vedere compromessa non solo la loro vita quotidiana attuale, ma anche il loro futuro: molte ricerche dimostrano che questi sintomi in età evolutiva si associano in età adulta non soltanto a disturbi d’ansia, ma anche a depressione e uso di droghe”, aggiunge Elena Franzot, psicologa e psicoterapeuta.

“I dati di questa indagine confermano quello che riscontro in questi giorni anche nella mia pratica clinica: le richieste di consulto da parte di ragazzi sono aumentate notevolmente; inoltre ritornano in studio con ‘ricadute’ anche giovani che in passato avevano già affrontato con successo disagi psicologici di vario genere”, dice Franzot.

Brainfactor Research
è un gruppo di ricerca indipendente che opera senza fine di lucro allo scopo di promuovere e diffondere gli studi in ambito neuroscientifico e sanitario, nello spirito del servizio alla comunità. È composto dai clinici che di volta in volta vi fanno riferimento.
Nessun contributo né finanziamento è stato ricevuto per questa ricerca.

3 maggio 2020

Perché la Fase 2 spaventa più della quarantena

Se ritorniamo con la mente alla serata dell’8 marzo, ci troviamo nel momento in cui il Presidente del Consiglio Conte annunciava l’inizio della quarantena in Italia: è quando abbiamo avuto conferma che la situazione era seria.
Cosa abbiamo provato? Un misto di emozioni tra le quali preoccupazione, sbalordimento, incredulità. Sembrava di stare in un film o in una di quelle serie tv che ci hanno abituato ad un futuro inquietante per quanto verosimile.
Abbiamo cominciato a vedere le strade che si svuotavano, poche persone in giro con le mascherine, il traffico che scompariva. Siamo rimasti giorni e giorni in casa, senza uscire, chi con il conforto della compagnia di parenti, amici o conviventi, chi in solitudine.
C’è chi ha ordinato e pulito a fondo la casa, chi si è dato alla cucina, chi ha approfittato per studiare, guardare serie tv e film, rilassarsi.
C’è chi ha lavorato da casa, chi il lavoro l’ha perso e chi ha passato settimane chiedendosi se il proprio lavoro avrebbe atteso la fine della quarantena.
Abbiamo visto e vediamo ancora gente sui tetti che fa sport, con i bambini, che fa una semplice passeggiata sul terrazzo per evadere dalle mura della casa.
Siamo stati bombardati di notizie su quarantena, CoViD-19, coronavirus, vaccini, bollettini quotidiani di casi di contagio, morti e guariti.
C’è chi ha subito una perdita in famiglia senza avere la possibilità di poter dare un ultimo saluto.
Anche nelle grandi città abbiamo vissuto il silenzio delle strade, l’aquietarsi dei rumori, lo scomparire dell’inquinamento acustico e atmosferico, abbiamo potuto goderci la tranquillità senza il ruggire continuo delle auto che congestionano le nostre strade. Affacciarsi sulla strada ha significato godersi il garrito delle rondini, l’abbaiare lontano di qualche cane e, nel silenzio ancora più intenso della sera, abbiamo percepito la profondità della quiete.

La quiete non era solo in strada ma anche nelle nostre case: abbiamo vissuto ritmi più lenti e abbiamo potuto approfittare anche del tempo in più con le persone con cui abitiamo.
Non so da voi, ma già da lunedì sotto il mio balcone le cose sono cambiate. Anzi, sembrano tornare lentamente a come eran prima: in giro ci sono macchine come una domenica mattina qualsiasi, addirittura è ricomparsa l’odiosa doppia fila di auto parcheggiate. In poche parole, nemmeno tanto lentamente sta tornando l’onda della normalità e questo, per qualcuno, è minaccioso come uno tsunami in avvicinamento.
Perché se la quarantena prevedeva che rimanessimo in casa, relativamente al sicuro da tuto, la Fase 2 ci mette di fronte al fatto che prima o poi occorre uscire dal nostro porto sicuro, esporci a quello che prima ci hanno raccomandando di rifuggire, con l’obiettivo di tornare ad una “normalità”.

È questa l’ambivalenza della Fase 2: che tutto ritorni ESATTAMENTE com’era prima. Se da una parte la nostra vita di prima ci manca, dall’altra serpeggia il timore che i sacrifici affrontati siano stati solo subiti senza poter mostrarci un altro modo di vivere.
  • Gli animali che sono tornati nelle nostre città approfittando della quiete dell’essere umano verranno di nuovo ricacciati via.
  • Le vie abitate solo dalla voce umana e dai canti degli uccelli verranno di nuovo invase dall’inquinamento acustico e chimico dei mezzi privati.
  • Le persone che potrebbero anche ora fare home office alcuni giorni a settimana dovranno invece uscire ogni giorno, intasando i mezzi pubblici o prendendo la propria macchina inutilmente.
  • Torneremo a buttare il cibo invece che far attenzione a come non sprecarlo perché fare la spesa non è una cosa da dare per scontato.
  • Torneremo a comprare roba online da tutto il mondo non preoccupandoci se un pezzo di plastica deve attraversare l’oceano per arrivare da noi.
Insomma, la quarantena sarà solamente ricordo di disagio, difficoltà, sacrifici. La quarantena non sarà servita a nient’altro che arginare i contagi.

OPPURE…
Oppure, possiamo approfittare di quello che ci è servito. La quarantena è stato un modo per mettere la nostra vita in pausa e possiamo farlo noi stessi anche oggi, per 5 minuti. Usciamo dal fiume che è la nostra vita e lì, sull’argine, osserviamo. Sediamoci, prendiamo un foglio e rispondiamo a queste domande:
Quali di questi cambiamenti imposti hanno portato più benefici che svantaggi?
Quali cambiamenti ci hanno mostrato che c’è un modo diverso di fare le cose e che funziona?
Cos’è che possiamo continuare a fare anche in futuro?

Sappiamo che è difficile cambiare un’azienda se sei un operario. Ecco perché la responsabilità del cambiamento è prima di tutto nelle mani di chi è più in alto nella gerarchia ma anche nel numero di persone che vorrebbero quel cambiamento.
Allora che questa Fase 2 ci spaventi pure se questo spavento significa fermarsi, spalancare gli occhi, guardarci intorno, comprendere e cambiare qualcosa. Non tutto ma qualcosa sì, magari.

Dr Benino Argentieri
Psicologo, Roma
28.04.2020

Coinvolti in un gigantesco esperimento sociale

Un articolo sul sito del World economic forum afferma che la tragica pandemia di covid-19 si configura come “il più grande esperimento psicologico” di tutti i tempi. È un “esperimento” che coinvolge un terzo della popolazione mondiale: Business Insider offre un quadro aggiornato dei paesi che hanno imposto qualche forma di distanziamento sociale.
Stiamo parlando di qualcosa come due miliardi di persone, che dall’Italia all’Iran, dal Sudafrica alla Colombia, dall’India agli Stati Uniti si trovano tutte quante in condizioni non certo identiche, ma analoghe sotto alcuni aspetti cruciali.
L’autrice dell’articolo è la psicologa belga Elke Van Hoof. La quale aggiunge che c’è da aspettarsi, nella seconda parte del 2020, una ulteriore epidemia di logoramento (burnout) e assenteismo da stress. E segnala che, mentre in tutto il mondo si stanno (be’, con alterna efficacia) predisponendo le misure necessarie per contrastare il virus, poco o nulla si fa per mitigare gli impatti psicologici. Un’ampia sintesi pubblicata su The Lancet attesta che l’isolamento può causare depressione, insonnia, ansia, frustrazione e molte altre conseguenze sgradevoli, e che alcune possono protrarsi nel tempo. 

Senza preavviso
In questa, come in altre interviste recenti, lo storico Yuval Noah Harari va oltre.
E senza mezzi termini parla della pandemia come di un enorme (anche se del tutto involontario) “esperimento sociale”.
Ecco di che si tratta: la psicologia sociale studia l’interazione tra esseri umani e i fattori che possono orientare i loro atteggiamenti e i loro comportamenti. Uno degli strumenti che i ricercatori usano per validare le loro ipotesi è organizzare, appunto, “esperimenti sociali”. I quali consistono nel mettere singoli individui o gruppi di persone in una condizione o in un contesto nuovo e particolare, senza alcun preavviso o istruzione su come ci si aspetta che siano le loro reazioni.
Gli psicologi sociali stanno poi a vedere quel che succede, e traggono le loro conclusioni.
Nell’intervista, Harari fa diversi esempi. Che cosa succede quando un’intera università sposta improvvisamente online tutti i corsi? Che cosa succede quando milioni di persone cominciano a lavorare da casa? O se uno stato offre contributi economici indistintamente a tutti?
Di fatto molte cose, che stanno realmente capitando ora nel mondo, fino all’altro ieri erano al massimo ipotesi di scuola, da verificare magari, con tutte le cautele, in un lontano futuro.
Harari aggiunge che “non possiamo predire oggi che cosa succederà”. 

La rapidità e la pervasività della pandemia hanno obbligato ciascuno a confrontarsi con la propria fragilità individuale
Per maggior chiarezza faccio una piccola digressione ricordando due noti esperimenti sociali del secolo scorso, il primo breve e disastroso, il secondo di più lunga durata e, al di là di ogni aspettativa, virtuoso.
Primo esempio: il controverso Stanford prison experiment. Si svolge nel 1971, nei sotterranei del dipartimento di psicologia dell’università di Stanford, modificati per somigliare a una prigione. Obiettivo: indagare le dinamiche dell’abuso di potere in un gruppo di 24 studenti, scelti tra i più sani ed equilibrati. Gli studenti vengono divisi a caso tra “carcerieri” e “carcerati”, abbigliati di conseguenza e invitati a comportarsi in accordo con il loro ruolo. L’esperimento degenera rapidamente in un susseguirsi di atti violenti, e viene interrotto ben prima del termine stabilito.
Secondo esempio: l’assai meno disturbante HighScope project, volto a indagare gli effetti della responsabilizzazione precoce. Siamo negli anni sessanta, e 123 bambini in età prescolare vengono arbitrariamente divisi in due gruppi. Mentre il primo gruppo svolge normali attività nel modo consueto per l’età, nel secondo gruppo i bimbi sono chiamati a pianificare, svolgere e verificare i propri compiti.
Negli anni successivi sembra che tra i due gruppi non si siano sviluppate differenze significative. E, quindi, che l’esperimento non abbia fornito risultati evidenti. La sorpresa arriva dopo un paio di decenni, quando i ricercatori scoprono che i partecipanti al secondo gruppo hanno, crescendo, deciso di studiare più a lungo e che fanno mediamente lavori più appaganti e meglio retribuiti, delinquono di meno, conducono perfino vite più sane. 

Le caratteristiche della persona globalizzata
Proprio perché espongono esseri umani a situazioni inconsuete, le cui conseguenze possono essere imprevedibili, gli esperimenti sociali coinvolgono piccoli gruppi, per tempi limitati, in ambienti controllati. Molti di quelli svolti in passato sono stati comunque considerati poco etici. Tutti possono avere, sia nel breve sia nel lungo periodo, conseguenze che vanno al di là delle previsioni degli stessi ricercatori, e che possono essere positive o negative.
Ora, immaginate la scala di questo esperimento sociale che tutti noi stiamo vivendo, e l’impatto che può avere, al di là delle pesantissime conseguenze economiche, sui comportamenti, sulle priorità e sui valori, e sui modi di pensare e di agire di una consistente fetta dell’umanità.
La rapidità e la pervasività della pandemia hanno obbligato ciascuno a confrontarsi con la propria fragilità individuale. Disvelano e, con ciò, mettono in crisi, come sottolinea la psicoanalista Julia Kristeva, le caratteristiche dell’essere umano globalizzato: solitudine, intolleranza ai limiti e rimozione della mortalità. “Possiamo diventare più prudenti, forse più teneri, e in questo modo anche più durevoli, resistenti. La vita è sopravvivenza permanente”, dice Kristeva.
La globalità e l’impatto della pandemia, d’altra parte, invitano a ristrutturare radicalmente gerarchie di valori e di aspirazioni che apparivano consolidate e permanenti. Per esempio, c’è la presa di coscienza del fatto che “la salute, quella di ciascuno di noi, non possa essere pensata come un bene privato, come una faccenda individuale, ma abbia, piuttosto, tutte le caratteristiche di un bene comune, di un bene comune globale”. Ne parla Vittorio Pelligra in un articolo illuminante, che vi invito a leggere per intero.

La scuola dimenticata
E ancora: quante persone, in quanti paesi compreso il nostro, hanno sempre considerato il sistema scolastico come una struttura ancillare e molto meno centrale del sistema produttivo? Ed ecco: si fermano le scuole e tutto il resto si inceppa. Ma non solo: improvvisamente ci si rende conto che senza il malconcio e tuttavia resiliente e tenace sostegno della scuola un’intera generazione rischia di ritrovarsi abbandonata a sé stessa nel mezzo dello tsunami pandemico.
Come crescerà, e con quali consapevolezze e quali paure, la generazione covid-19? Quanti rischiano di restare indietro, con quanto danno sociale, e sì, anche economico?
E quanto è cruciale, se vogliamo che questo non succeda, restituire alla scuola tutta la centralità e il protagonismo sociale che le spettano per ruolo?
E poi: ci siamo finalmente convinti che un atteggiamento di rapina nei confronti dell’ambiente può impattare in modi rapidi, drammatici e imprevisti sulle singole vite di ciascuno di noi? E che ridurre le disuguaglianze non è un’opzione da buonisti smidollati, ma l’unico modo efficace non solo per poter vivere decentemente in pace, ma anche per mettere in sicurezza tutti quanti? 

“La gente deve capire che abbiamo molte scelte. E le decisioni molto importanti saranno prese nel prossimo mese o due. È una breve finestra di opportunità in cui la storia si sta spostando, e molto in fretta”, conclude Harari.
C’è un dato incoraggiante: in questo periodo che ha travolto le nostre vite ci siamo potuti rendere conto di avere una flessibilità comportamentale e una capacità di adattamento che mai avremmo immaginato.
E dunque, sperèm, come dicevano i vecchi della mia estenuata città.
Ma restiamo anche vigili, e teniamo gli occhi bene aperti, perché l’esperimento sociale si sta svolgendo sulla pelle di tutti noi.

30 aprile 2020

Doing What Matters in Times of Stress [ENG]

“Fare ciò che conta in condizioni di Stress”
Un prezioso Ebook del Dr. Russ Harris per l’Organizzazione Mondiale della Santità.


Doing What Matters in Times of Stress: An Illustrated Guide is a stress management guide for coping with adversity. The guide aims to equip people with practical skills to help cope with stress. A few minutes each day are enough to practice the self-help techniques. The guide can be used alone or with the accompanying audio exercises.
Informed by evidence and extensive field testing, the guide is for anyone who experiences stress, wherever they live and whatever their circumstances.  
 

come funzionerà l’App Immuni



L’App Immuni è focalizzata sul ​tracciamento di prossimità (anche noto come tracciamento dei contatti) basato su tecnologia Bluetooth Low Energy. Questo metodo non ricorre alla geolocalizzazione. A spiegare il funzionamento dell'App scelta dal Governo per il tracciamento digitale dei contatti in funzione anti contagio da Coronavirus  è un documento presentato in audizione al Senato dalla ministra per l'Innovazione tecnologica, Paola Pisano. Il testo rappresenta lo sviluppo della prima versione dell’applicazione e sarà soggetto ad ulteriori aggiornamenti.

In premessa si spiega che il codice sorgente del sistema di contact tracing "sarà rilasciato con licenza open source" e quindi come software libero e aperto. L’App non accederà alla rubrica dei contatti, non richiede nemmeno il numero e non manderà SMS per notificare chi è a rischio. La sua installazione sarà volontaria da parte degli utenti e il suo funzionamento termina con la fase di emergenza, o comunque entro il 31 dicembre 2020, con la cancellazione di tutti i dati generati durante il suo funzionamento. "L’App - spiega il documento - non raccoglie alcun dato di geolocalizzazione degli utenti, ma registrerà esclusivamente dei codici randomici inviati dai dispositivi di altri utenti dell’app mediante la tecnologia Bluetooth Low Energy".
 
Gli obiettivi dell’app sono:
• Avvisare l’utente del suo stato di rischio, nel caso in cui sia stato esposto a un possibile contagio attraverso un contatto con un paziente positivo a Covid-19 oppure se presenta sintomi riconducibili a Covid-19
• Fornire all’utente tutte le informazioni necessarie per affrontare la situazione, ad esempio offrendo indicazioni sulla patologia e le azioni di sanità previste e fornendo i contatti del Dipartimento di prevenzione della propria Asl di riferimento

In tema di privacy si spiega poi che l’App "recepisce pienamente i suggerimenti contenuti nelle ​raccomandazioni emanate dalla Commissione Europea il 16 aprile 2020 in merito alle app per il tracciamento di prossimità. In particolare, sfrutta un approccio tecnologico che permette all’app di espletare la sua funzione ​senza che siano raccolti dati identificativi degli utenti​".

L’App infatti ​non​ raccoglie:
- nome e cognome
- codice fiscale
- indirizzo di residenza
- numero telefonico
- indirizzo email
- dati di localizzazione
- dati di movimento
- identità dei contatti

Nel documento si aggiunge inoltre che "l’App non effettua operazioni di profilazione sugli utenti. È importante sottolineare che l’App è stata progettata in modo che, nella fase di tracciamento di prossimità, non possa essere trasformato da chi lo gestisce in uno strumento di sorveglianza o di limitazione della libertà degli utenti. L’App può pertanto essere installata in sicurezza, permettendo ai cittadini di riporvi la fiducia necessaria a garantirne l’ampia adozione".

Ma come funziona il tracciamento di prossimità? “Il sistema di contact tracing utilizza il ​modello annunciato da Apple e Google​". Si ribadisce quindi come il funzionamento del tracciamento di prossimità si basi esclusivamente sulla tecnologia Bluetooth Low Energy​.

Questa scelta di progettazione, si spiega nel testo, ha due vantaggi rispetto all’approccio legato alla geolocalizzazione:
• È più precisa, in quanto la tecnologia individua solo dispositivi nel raggio di pochi metri e ignora gli altri. Questo permette di evitare di notificare utenti in realtà non a rischio perché non sono entrati in un raggio abbastanza ristretto rispetto a un utente positivo.
• Rispetta maggiormente la privacy, in quanto evita di localizzare l’utente. L’app è in grado di determinare che è avvenuto un contatto stretto fra due utenti ma non il luogo in cui esso è avvenuto.

Una volta attivata, l’App scambia codici generati randomicamente con altri dispositivi che hanno installato l’App, grazie a segnali Bluetooth Low Energy. Questi codici non permettono di risalire all’identità dell’utente. Lo scambio è bidirezionale: "Ogni smartphone ​invia il proprio codice randomico e ​riceve i codici randomici degli smartphone nelle vicinanze, salvandoli nella propria memoria interna. Per rendere il sistema più sicuro, il codice randomico ​cambia frequentemente​. Questo significa che, se anche uno smartphone incrociasse un dispositivo che aveva 'visto' in precedenza, il codice randomico ricevuto sarebbe nel frattempo cambiato, impedendo a potenziali malintenzionati di manipolare il sistema per tracciare gli spostamenti di un utente, anche con metodi molto sofisticati, per esempio mettendo antenne Bluetooth in giro per la città".

Quando un utente risulta positivo al Covid-19, l’operatore sanitario che gli ha comunicato l’esito lo invita a selezionare l’opzione “Carica dati”. L’app restituisce un codice numerico che l’utente comunica all’operatore sanitario. "Il codice viene inserito, da parte dell’operatore sanitario, all’interno di un’interfaccia gestionale dedicata e il caricamento viene validato. La lista dei codici randomici che lo smartphone ha inviato nei giorni precedenti viene a questo punto caricata sul server, al fine di notificare gli utenti con cui è stato a contatto del rischio a cui sono stati esposti. Anche gli utenti per cui il test ha avuto esito negativo possono, se lo desiderano, caricare informazioni utili a consentire la calibrazione del sistema, requisito fondamentale affinché l’app funzioni a dovere".

A questo punto, grazie ai codici randomici caricati dal paziente positivo, "l’app è in grado di verificare se c’è stato un contatto tra altri utenti e il paziente positivo e quindi un potenziale contagio. L’app allerta quindi i ​contatti stretti (utenti che sono stati a contatto con il caso indice entro i due metri di prossimità per più di 15 minuti) e i ​contatti casuali (utenti che sono stati a contatto con il caso indice entro i due metri di prossimità per meno di 15 minuti) e fornisce all’utente le misure di prevenzione previste dal Ministero della Salute. A titolo di esempio, può invitare alla misurazione della temperatura, al monitoraggio dei sintomi, all’isolamento fiduciario e offrire consigli su come comportarsi alla comparsa dei sintomi, il contatto con il Dipartimento di Prevenzione dell’Asl ecc", si spiega nel documento di approfondimento.

Nel testo si sottolinea che il sistema rende possibile notificare un utente venuto a contatto con un altro utente risultato positivo del rischio di contagio ​senza che al sistema sia nota né l’identità del paziente positivo, né l’identità del contatto​.

Affinché l’app possa essere davvero efficace nel contrasto al Covid-19, si spiega però come sia indispensabile che si integri nel modo più efficiente possibile con i processi e i sistemi informativi del Servizio Sanitario Nazionale. Ed in questo senso lo sviluppo dell'applicazione è ancora in corso. "L’App causerà inevitabilmente un aumento delle interazioni tra il cittadino e i Dipartimenti di prevenzione delle Asl, vista la finalità dell’App di informare riguardo al possibile rischio di essere positivi al Sars-CoV-2. Si renderà necessario rispondere con la digitalizzazione di processi che in questo momento avvengono in modo manuale. ​Stiamo anche valutando di inserire un ​diario dei sintomi​, compilato dall’utente e non condiviso con nessuno. I dati del diario dei sintomi non vengono caricati sul server, rimanendo sullo smartphone dell’utente. A tal proposito è in atto un confronto col Ministero della Salute che si propone di identificare le ulteriori funzionalità da inserire nel sistema per garantirne il successo". 

Quotidiano Sanità
quotidianosanita.it