Da settimane ormai, la nostra esistenza è
scandita da continui bollettini con la conta di morti e infettati, da
divieti e limitazioni a raffica, da stili di vita cambiati come in tempo
di guerra, il tutto accompagnato da un sottofondo di chiacchiere, non
sempre utili, se non sbagliate e fuorvianti, proposto a getto continuo
da Tv e social media.
Lasciando da parte gli aspetti più
strettamente sanitari (comunque rilevantissimi e a cui continuare a
prestare la massima attenzione) e i consigli utili per la prevenzione
(ormai ripetuti centinaia di volte) è chiaro che anche la dimensione psicologica
di tutti è stata messa a durissima prova da questo invisibile nemico,
che ci costringe a stare chiusi in casa e ci impedisce di vedere i
nostri cari proprio perchè può nascondersi in una semplice stretta di
mano.
Come reggere l’urto? Come reagire
razionalmente e non farsi prendere dallo sconforto? Il Consiglio
nazionale dell’Ordine degli psicologi ha preparato un decalogo per aiutare la costruzione di qualche strategia di difesa
ed evitare che prevalga il panico. Il decalogo è accompagnato dalla
raccomandazione di evitare una ricerca compulsiva di informazioni, di
farlo affinandosi solo a fonti ufficiale e affidabili.
Per capire qualcosa di più, proprio sul versante delle nostre emozioni, abbiamo chiesto aiuto a Paolo Legrenzi,
professore emerito di psicologia dell’Università di Venezia e autore di
un libro, uscito a fine 2019, dal titolo quasi profetico: “A tu per tu con le nostre paure. Come convivere con la vulnerabilità” (Ed. Il Mulino).
Anche Achille non era invulnerabile
«Parto da una riflessione che è alla base del mio libro: una riflessione che ci rimanda a temi e tempi lontani, ma che è legata anche alle vicende di questi giorni. Da millenni l’uomo sogna di essere invulnerabile. Si tratta di un mito che ha radici antiche, pensiamo al guerriero Achille che però invincibile non è, perché sarà colpito da Paride nel suo unico punto debole e cioè il celebre tallone – spiega Legrenzi – Questo dell’invulnerabilità è un desiderio vano, un’illusione che sconfina nel pensiero magico. Solo se accettiamo l’idea della nostra vulnerabilità possiamo affrontare in modo razionale le nostre paure, aprire il ventaglio a più possibilità e non appenderci a certezze illusorie. Capisco che viene istintivo verso i nostri cari, verso i figli, cercare di proteggerli, di tenerli al riparo. Questo è giusto farlo, ma a sino a un certo punto. Perché arriva il momento in cui anche i nostri devono essere aiutati a fare i conti con le proprie paure: solo così potranno costruire gli anticorpi. È un equilibrio difficile da trovare, ma sbagliano i genitori che sono iperprotettivi. Nessuno può controllare la sorte».
«Parto da una riflessione che è alla base del mio libro: una riflessione che ci rimanda a temi e tempi lontani, ma che è legata anche alle vicende di questi giorni. Da millenni l’uomo sogna di essere invulnerabile. Si tratta di un mito che ha radici antiche, pensiamo al guerriero Achille che però invincibile non è, perché sarà colpito da Paride nel suo unico punto debole e cioè il celebre tallone – spiega Legrenzi – Questo dell’invulnerabilità è un desiderio vano, un’illusione che sconfina nel pensiero magico. Solo se accettiamo l’idea della nostra vulnerabilità possiamo affrontare in modo razionale le nostre paure, aprire il ventaglio a più possibilità e non appenderci a certezze illusorie. Capisco che viene istintivo verso i nostri cari, verso i figli, cercare di proteggerli, di tenerli al riparo. Questo è giusto farlo, ma a sino a un certo punto. Perché arriva il momento in cui anche i nostri devono essere aiutati a fare i conti con le proprie paure: solo così potranno costruire gli anticorpi. È un equilibrio difficile da trovare, ma sbagliano i genitori che sono iperprotettivi. Nessuno può controllare la sorte».
Chiaro che, specie per l’uomo contemporaneo,
abituato a sentirsi padrone e dominatore (pensiamo al nostro rapporto
con la natura e i cambiamenti climatici) e incapace di accettare l’idea
del limite, convinto che l’economia non si possa fermare, il coronavirus
sia un bel cazzotto nello stomaco che non si può ignorare. «Nei secoli
passati, soprattutto attraverso il ruolo delle religioni o della chiesa,
fosse colpa di qualche divinità di cattivo umore o del diavolo, sapevamo sempre da dove veniva il male.
Oggi spero pochi pensino che il virus lo abbia mandato qualche divinità
arrabbiata che voleva punirci. Quindi, siamo davanti a un qualcosa che sfugge al nostro controllo,
che non vediamo, che può essere ovunque. E mettere insieme un quadro
ragionato del pericolo è complicato, richiederebbe di mescolare dati
statistici, probabilità legate allo stile di vita, alle persone che
incontro, alla capacità del mio corpo di reagire. Insomma i fattori che
incidono sono tanti. Aggiungiamoci i messaggi contrastanti che sono
stati inviati, specie nella prima fase, che hanno oscillato tra
l’allarmismo e il suo opposto, e il gioco è fatto».
Quel flusso continuo di informazioni
L’altro tassello che complica il mosaico di queste settimane è il flusso ininterrotto di trasmissioni Tv e di notizie che ci arrivano dai social attraverso il cellulare. Tutti parlano, tutti commentano, producendo un effetto che gli esperti chiamano “infodemia”. «Questo stato di allarme permanente va contrastato – spiega Legrenzi – Capisco che il susseguirsi di decreti e ordinanze ha complicato le cose, ma per molti aspetti basterebbe avere un riassunto giornaliero delle notizie rilevanti. Anche perché, in particolare sui social, in cui tutti possono dir la loro, anche senza alcuna competenza, l’effetto distorsivo è molto forte. Se ripeto cinquanta volte un qualcosa, anche se poi non è vera, la sensazione di pericolo aumenta e si diffonde. C’è un mercato tutto teso a catturare l’attenzione degli utenti che non è mai stato così competitivo. E ricordiamo sempre che avere più ascolti serve per avere più entrate pubblicitarie. Capisco che il momento che stiamo vivendo è complicato, ma è forse utile citare un grande pensatore come Michel de Montaigne che scrisse: “la mia vita è stata piena di disgrazie, la maggior parte delle quali non si è mai verificata”».
L’altro tassello che complica il mosaico di queste settimane è il flusso ininterrotto di trasmissioni Tv e di notizie che ci arrivano dai social attraverso il cellulare. Tutti parlano, tutti commentano, producendo un effetto che gli esperti chiamano “infodemia”. «Questo stato di allarme permanente va contrastato – spiega Legrenzi – Capisco che il susseguirsi di decreti e ordinanze ha complicato le cose, ma per molti aspetti basterebbe avere un riassunto giornaliero delle notizie rilevanti. Anche perché, in particolare sui social, in cui tutti possono dir la loro, anche senza alcuna competenza, l’effetto distorsivo è molto forte. Se ripeto cinquanta volte un qualcosa, anche se poi non è vera, la sensazione di pericolo aumenta e si diffonde. C’è un mercato tutto teso a catturare l’attenzione degli utenti che non è mai stato così competitivo. E ricordiamo sempre che avere più ascolti serve per avere più entrate pubblicitarie. Capisco che il momento che stiamo vivendo è complicato, ma è forse utile citare un grande pensatore come Michel de Montaigne che scrisse: “la mia vita è stata piena di disgrazie, la maggior parte delle quali non si è mai verificata”».
Pericoli reali e precepiti
Perché uno degli altri problemi che la società contemporanea ci consegna, “grazie” anche a questo flusso continuo di informazioni, è che si è allargato il divario tra i pericoli reali e i pericoli percepiti. «Il punto è che abbiamo molta paura di cose che sono poco o nulla pericolose – continua Legrenzi – e sottostimiamo il rischio di cose che invece pericolose lo sono davvero. Un esempio clamoroso è legato agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 negli Usa. Gli americani smisero di andare in aereo, ritenendolo rischioso, e scelsero di viaggiare molto di più in automobile. Risultato: nei mesi successivi, ci fu un numero di morti in incidenti stradali doppio rispetto a quelli degli attacchi terroristici».
Perché uno degli altri problemi che la società contemporanea ci consegna, “grazie” anche a questo flusso continuo di informazioni, è che si è allargato il divario tra i pericoli reali e i pericoli percepiti. «Il punto è che abbiamo molta paura di cose che sono poco o nulla pericolose – continua Legrenzi – e sottostimiamo il rischio di cose che invece pericolose lo sono davvero. Un esempio clamoroso è legato agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 negli Usa. Gli americani smisero di andare in aereo, ritenendolo rischioso, e scelsero di viaggiare molto di più in automobile. Risultato: nei mesi successivi, ci fu un numero di morti in incidenti stradali doppio rispetto a quelli degli attacchi terroristici».
«Gli uomini non sono “naturalmente” buoni
o cattivi, ma le circostanze possono farci essere buoni o cattivi.
Abbiamo visto che anche davanti al coronavirus c’è chi ha reagito in
maniera straordinaria, con generosità, altruismo e senso di
responsabilità verso la collettività, cito medici e operatori sanitari
per tutti, mentre altri hanno messo davanti interessi personali, forse
per ignoranza, forse per paura. Io mi auguro che lo sforzo messo in atto
nel nostro paese ci porti presto a superare questa dura prova, con la
speranza che da questa esperienza tutti possano trarre una lezione utile per il futuro. Una lezione che ci rimanda al punto da cui siamo partiti: non siamo invulnerabili. Dobbiamo avere memoria di quanto accaduto
e non rimuoverlo e poi razionalmente e consapevolmente accettare i
nostri limiti, scoprire le nostre paure e non aver timore di chiedere
aiuto. Non è da deboli chiedere aiuto. Solo riconoscendo questo potremo
costruire strategie e comportamenti utili per il domani».
Tratto da:
consumatori.e-coop.it
consumatori.e-coop.it
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