7 aprile 2002

Fonte: Il Mattino online, Paola Emilia Cicerone

Cosa c'entra la genetica con i sentimenti umani? Poco, apparentemente. Eppure Israel Rosenfield, storico delle idee e autore di importanti studi sulla memoria, ha scelto diapositive che mostrano i geni di mosche e topi per aprire la serata conclusiva del ciclo di incontri organizzato dalla Banca Popolare di Milano nel capoluogo lombardo: «Perché, come i geni regolano le funzioni del nostro organismo, i sentimenti funzionano da regolatori di tutte le nostre attività," spiega lo studioso, "Un ruolo che la scienza non ha ancora riconosciuto fino in fondo».
Una tesi controcorrente? Rosenfield è abituato a scatenare polemiche. Quindici anni fa con L'invenzione della memoria (pubblicato in Italia da Rizzoli) smontava le tesi prevalenti sul funzionamento del nostro cervello, dimostrando come fosse impensabile localizzare la memoria - come se si trattasse di un film archiviato - in una specifica area del cervello. E oggi smonta con altrettanta convinzione le tesi di chi traduce la nostra mente in termini biologici, o genetici: «Sono i sentimenti, le emozioni a creare la nostra identità: senza saremmo incapaci di agire, di relazionarci con gli altri». Emozioni buone, ma anche cattive: «Non possiamo non esserne influenzati: chi lo sostiene è uno stupido, oppure un ipocrita. Basta guardarci intorno per vedere che gli esseri umani non agiscono sulla base della ragione: meglio, allora, ammettere che le emozioni contribuiscono a determinare le nostre scelte». E hanno un ruolo fondamentale nell'evoluzione della nostra specie, «perché ci aiutano a relazionare con gli altri, regalandoci gli strumenti per capire quando possiamo fidarci dei nostri simili e quando, invece, dobbiamo essere cauti».
Si tratta di emozioni comuni a tutti gli esseri umani, eppure diverse per ognuno di noi: «È vero, oggi possiamo vedere quali aree del cervello si attivano quando proviamo rabbia o spavento. Ma da qui a dire che possiamo ricreare un'emozione - in una persona specifica, in uno specifico contesto - solo spingendo un interruttore, ce ne corre».
E le emozioni - sottolinea Rosenfield ribadendo la sua tesi storica - giocano un ruolo fondamentale anche nel determinare i nostri ricordi, inevitabilmente soggettivi e tessuti di fantasia o meglio - è questo il termine usato dallo studioso - di "creatività". Affermazioni che sembrano destinate a smontare molte certezze: «Dal punto di vista della legge dire che non possiamo affidarci alla memoria, che due testimoni possono affermare cose completamente diverse e avere entrambi ragione, è sconvolgente» ammette Rosenfield. Non l'aveva già detto Akira Kurosawa con il suo "Rashomon"? «In effetti, spesso la scienza non ha fatto altro che riscoprire cose che già sapevamo», spiega lo studioso.
Che ama demolire le certezze della scienza, eppure difende la figura di Freud, «che ha fatto molti errori, ma ha avuto il coraggio di porsi domande di fronte alle quali molti neurologi oggi esitano, perché non sanno trovare le risposte». E proprio al padre della psicoanalisi ha dedicato la sua ultima fatica letteraria, Megalomania - un romanzo satirico - non ancora tradotto in italiano - che ruota intorno ad un ipotetico inedito di Freud, «per spiegare come inganni e autoinganni siano al centro dell'esperienza umana». Partendo da un episodio storico, la testimonianza di Freud al processo contro lo psichiatra premio Nobel Warner Juarreg, accusato di aver maltrattato dei soldati vittime di choc. «Ho scelto la satira perché mi sembrava il registro più adatto a smontare le tesi dei freudiani che non accettano critiche al loro maestro, ma anche di certa psichiatria che rigetta in blocco il lavoro di Freud». In nome di una scienza capace di guardare alle proprie manchevolezze: «Abbiamo capito molto sul funzionamento del cervello ma è pochissimo rispetto a quello che c'è da capire. E rendercene conto è, forse, l'unico strumento che abbiamo per andare avanti».

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