14 novembre 2006

TSO non è strumento preventivo

«Il trattamento sanitario obbligatorio non è strumento preventivo, volto alla tutela dell’interessato o di terzi». Se viene disposto senza rispettare la legge, non conta che poi il paziente lo abbia trasformato in ricovero volontario né che siano state verificate ex post le ragioni per richiederlo: il malato ha comunque diritto al risarcimento del danno subìto. Parola della terza sezione civile del tribunale di Venezia (sentenza pubblicata il 19 dicembre 2005), che ha condannato in solido un Sindaco, due medici, il Ministero della Salute e l’ASL 8 Veneto a liquidare ben 100mila euro a un cittadino. Nel 1999 l’uomo, alcolista e affetto da disturbo bipolare e che deteneva in casa un'arma, era stato raggiunto da un’ordinanza di Tso firmata dal Sindaco, allarmato dai familiari del cittadino, secondo i quali l’uomo stava per compiere una strage. Dopo dodici giorni di degenza forzata, il paziente aveva prolungato spontaneamente il ricovero, accettando diagnosi e cure. «L’attore soffrì senza dubbio un ricovero coatto senza che ne sussistessero le condizioni di legge», afferma il Tribunale di Venezia, perché la legge vieta che il Tso sia disposto verso qualcuno «che non sia stato direttamente e personalmente visitato nell’immediatezza della proposta» e «che non sia stato posto nelle condizioni di scegliere terapie alternative». In altre parole, «la legge vieta l’abuso del trattamento de quo alla stregua di strumento preventivo, a fronte di un generico fumus di pericolosità». Non importa se poi i presupposti si sono rivelati esistenti: «Essi devono essere valutati prima del ricovero coatto». Il Tso «non ha nulla a che fare con il disagio psicologico dell’interessato; non v’è nella ratio legis alcuno scopo generale aut special preventivo». La filosofia è semmai l’opposta, per cui «la limitazione alla libertà personale del soggetto portatore di un disagio psichico costituisce assolutamente extrema ratio». Nella fattispecie non c'è reato, ma resta «il discredito che il Tso socialmente provocò nella sfera della dignità» del paziente, insieme con «l’impatto del trattamento sofferto» percepito come ingiusto. Per quantificarlo, il Tribunale ha scelto di fare riferimento al danno previsto dalla legge sull’ingiusta detenzione, ritenendo equo un risarcimento di 100mila euro.
(Fonte: Il Sole 24 Ore Sanità del 14-20/03/2006)

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