I SOGNI DOVE NASCONO
VIAGGIO NELLA ZONA LIMBICA, IL REGNO DELLE EMOZIONI
Nel racconto biblico Giuseppe interpreta il sogno del faraone,
ma - è il caso di dirlo non si sogna minimamente di psicoanalizzarlo,
cioè di trarre dal sogno qualche indicazione sulla personalità del
sovrano (che difficilmente avrebbe gradito un simile interesse). Gli
antichi, racconta Bruno Bara, direttore del centro studi cognitivi
dell' Università di Torino nella premessa storica del suo Dimmi come
sogni (Mondadori), si mettevano ritualmente in profonde caverne
sotterranee, sperando di avere sogni particolarmente illuminanti. Era
il gesto simmetrico al salire in cima alle torri per contemplare le
stelle: in entrambi i casi, la visione veniva dall' esterno, era
qualcosa di oggettivo. Ed è per questo che nell' antichità si usava
scrivere dei manuali di interpretazione e traduzione dei sogni, delle
specie di vocabolari di racconti e visioni considerati indipendenti
dalla soggettività dei sognatori. È la tradizione che sopravvive nella
smorfia, il prontuario per tradurre i sogni in numeri da giocare al
lotto. È invece soprattutto con Freud che abbiamo la rivoluzione
copernicana, con il passaggio dall' oggetto al soggetto: i sogni non ci
parlano del mondo, non anticipano l' avvenire, ma rivelano al soggetto
qualcosa che non riesce a confessarsi, qualcosa che ha a che fare non
con la coscienza ma con l' inconscio. Il sogno è un rebus in cui con
degli accorgimenti cifrati (spostamento, condensazione, figurazione con
il contrario) una parte dell' io comunica qualcosa a un' altra parte
dell' io - qualcosa che quella parte non ha il coraggio di dirsi. In
somnis veritas, soprattutto quando si tratta dei nostri segreti
desideri, come canta la Cenerentola di Walt Disney: "I sogni son
desideri di felicità, nel sogno non hai pensieri, ti esprimi con
sincerità. Se hai fede chissà che un giorno la sorte non ti arriderà".
Cosa cambia con le scienze cognitive? Da una parte, ovviamente, la
conoscenza della fisiologia del sogno è estremamente più sofisticata,
ma sotto il profilo delle interpretazioni abbiamo due concezioni
contrapposte. Una, che in sostanza si riallaccia alla ipotesi
psicoanalitica della rimozione, vuole che i sogni siano una specie di
coscienza più debole e rilassata: la nostra personalità da svegli e
quella da dormienti è la stessa, tranne che la seconda è meno repressa,
è più loquace e disinibita. Bara è invece teorico dell' altra scuola.
L' idea è che ciò che in noi sogna non abbia niente a che fare con la
nostra coscienza, perché tra la coscienza e il sogno interviene una
discontinuità qualitativa. I sogni non sono pensieri in libertà, sono
procedure in cui la mente opera in parallelo, come per le percezioni.
In questo momento, mentre scrivo queste righe, i miei occhi vedono dei
colori, sento dei rumori intorno a me, ho delle sensazioni termiche e
tattili: tutto questo è vero, ma niente di questo accede alla
dimensione del senso, che è invece quello che sto cercando di esprimere
in questo articolo, con un ordine seriale di conseguenze logiche.
Bene, il rapporto tra il mondo onirico e il pensiero diurno è proprio
di questo tipo. Se le cose stanno in questi termini, la conoscenza di
noi stessi che può venire dal sogno è molto più indiretta di quanto
non assumano le ipotesi che vedono nel sogno la rivelazione di un io
più inerme e confidenziale. La nostra personalità si rivela molto
meglio nella vita diurna e nell' azione, il sogno è un prodotto che si
sottrae al controllo del sognatore, il quale se ne riappropria al
risveglio. Perché, secondo l' ipotesi difesa da Bara, non si sogna d'
accordo con la propria personalità, né con il proprio linguaggio e la
propria cultura. La sfera da cui vengono i sogni è la zona limbica e
paralimbica, come l' amigdala, la corteccia cingolata anterioree l'
insula. È l' area primitiva ed emotiva del cervello, che ci riporta
agli albori dell' umanità, il che spiega, tra l' altro, la frequenza
degli incubi, cioè del terrore primario. Quello che ci fa visita ogni
notte è davvero qualcosa di molto lontano, e ci mette in comunicazione
non tanto con la nostra personalità profonda, quanto piuttosto con gli
aspetti emotivi più elementari del nostro essere umani, e dunque anche
del nostro essere animali. La personalità (e con lei la cultura e il
linguaggio) intervengono a un secondo livello, nel passaggio dal sogno
alla sua interpretazione. Prima di tutto, il sognatore, quando cerca
per sé di dare senso alla successione parallela dei sogni, incomincia,
con la sua personalità, a conferire un ordine che prima non c' era: un
ossessivo non sogna da ossessivo, interpreta da ossessivo. In secondo
luogo, se cerca di raccontare il sogno sovrappone alla struttura
emotiva dell' esperienza che ha vissuto le griglie del linguaggio, e
non è difficile immaginare quanto la descrizione di una emozione possa
essere poco emozionante (credo che sia per questo che ci sembra di
essere così inespressivi quando raccontiamo un sogno che ci ha
particolarmente emozionati). Infine, posto che il sognatore si stia
confrontando con un terapeuta, nella descrizione interverranno anche i
loro problemi relazionali. Insomma, nella traduzione del sogno abbiamo
il passaggio da una forza a una forma, da una emozione a una
espressione, sancita, proprio come nelle opere d' arte, dal momento in
cui si dà un titolo al sogno, come nei celebri esempi di Freud. Ora,
sono proprio queste procedure di trasformazione (analizzate e
codificate nel manuale di Bara, che vuol essere anche una guida per
terapeuti o semplici lettori) che risultano rivelative della nostra
personalità, mettendo in comunicazione zone diverse della nostra mente.
Il punto fondamentale è che non ci si deve attendere troppo e non
bisogna avere troppa precipitazione. Il sogno è un dono misterioso che
conviene osservare senza aver troppa fretta di concludere su un senso,
perché se è dubbio il principio "non c' è vero senso di un testo", è
certo che non c' è vero senso di un sogno, e che il sogno non è
qualcosa su cui sia possibile dire l' ultima parola.
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