L'effetto paradossale di alcuni antidepressivi – un possibile temporaneo
aggravamento dei sintomi prima del loro alleviamento – è legato
all'interferenza con la capacità dei neuroni bersaglio di rilasciare
oltre alla serotonina anche un altro neurotrasmettitore, il glutammato.
La scoperta apre la strada allo sviluppo di nuovi farmaci privi di
questo inconveniente.
La causa di un effetto paradossale degli antidepressivi più diffusi –
il rischio di un peggioramento dei sintomi all'inizio della
somministrazione del farmaco – è stata chiarita da un gruppo di
ricercatori della Otto-von-Guericke Universität a Magdeburgo, in
Germania, e della Radboud University a Nijmegen, nei Paesi Bassi, che
firmano un articolo su “Trends in Cognitive Sciences”.
Gli
inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) – la classe di
farmaci antidepressivi prescritta più ampiamente – funzionano
aumentando i livelli del neurotrasmettitore serotonina, che a livello
cerebrale è il più importante regolatore del tono dell'umore.
Dopo la somministrazione di un SSRI l'aumento di serotonina si verifica rapidamente – nell'arco di pochi minuti od ore. Tuttavia, i pazienti devono assumere il farmaco per circa due settimane prima di sperimentare un alleviamento dei sintomi. Durante questo periodo di latenza, i sintomi della depressione possono aggravarsi, con un aumento dell'ansia e un più elevato rischio di suicidio.
Studi recenti recenti hanno dimostrano che i neuroni serotoninergici – quelli che usano la serotonina per comunicare fra loro – rilasciano anche un altro neurotrasmettitore, il glutammato, che è collegato ai sistemi cerebrali che controllano il piacere e l'apprendimento.
Dopo la somministrazione di un SSRI l'aumento di serotonina si verifica rapidamente – nell'arco di pochi minuti od ore. Tuttavia, i pazienti devono assumere il farmaco per circa due settimane prima di sperimentare un alleviamento dei sintomi. Durante questo periodo di latenza, i sintomi della depressione possono aggravarsi, con un aumento dell'ansia e un più elevato rischio di suicidio.
Studi recenti recenti hanno dimostrano che i neuroni serotoninergici – quelli che usano la serotonina per comunicare fra loro – rilasciano anche un altro neurotrasmettitore, il glutammato, che è collegato ai sistemi cerebrali che controllano il piacere e l'apprendimento.
Gli esperimenti
condotti da Adrian Fischer e colleghi suggeriscono che gli SSRI
influenzino entrambi questi segnali, ma in modi diversi. Più
specificamente, il rapido aumento dell'attività serotoninergica dei
neuroni monopolizzerebbe a favore della serotonina la scorta di
vescicole prodotte dal neurone per conservare all'interno delle proprie
terminazioni – le sinapsi – i neurotrasmettitori da rilasciare oppure quelli ricaptati. In questo modo, il glutammato sarebbe privato
del “veicolo” necessario per essere rilasciato, almeno fino a quando il
neurone non riesce ad adeguare la produzione di vescicole all'aumentato
fabbisogno.
Così, dice Fischer, "mentre la componente serotoninergica è immediatamente amplificata in seguito alla somministrazione di SSRI, la componente glutammato crolla improvvisamente, per rinormalizzarsi solo dopo diversi giorni di trattamento farmacologico". Proprio questa differenza temporale nella risposta al farmaco spiegherebbe la paradossale differenza di effetto a breve e lunga scadenza degli SSRI.
La comprensione di questo meccanismo può aprire la strada alla definizione di nuovi bersagli farmacologici che permettano di ridurre il tempo di latenza nell'efficacia degli SSRI o addirittura alla progettazione di nuovi tipi di antidepressivi.
Così, dice Fischer, "mentre la componente serotoninergica è immediatamente amplificata in seguito alla somministrazione di SSRI, la componente glutammato crolla improvvisamente, per rinormalizzarsi solo dopo diversi giorni di trattamento farmacologico". Proprio questa differenza temporale nella risposta al farmaco spiegherebbe la paradossale differenza di effetto a breve e lunga scadenza degli SSRI.
La comprensione di questo meccanismo può aprire la strada alla definizione di nuovi bersagli farmacologici che permettano di ridurre il tempo di latenza nell'efficacia degli SSRI o addirittura alla progettazione di nuovi tipi di antidepressivi.
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