Quali sono i principali effetti psicologici della quarantena?
Come possiamo reagire e che cosa possiamo fare per stare meglio?
In questi giorni sul coronavirus è stato scritto di tutto e di più, ma poco è stato detto riguardo alle pesanti ripercussioni emotive che ciò che stiamo vivendo in questi giorni può avere.
Non parlo dell'incremento delle paure ossessive di contaminazione o
dello stato di confusione, incertezza, sgomento, preoccupazione che
tutti noi stiamo vivendo, chi più chi meno. Mi riferisco alle conseguenze dei drastici cambiamenti nello stile di vita e nella libertà individuale che sono connessi alle restrizioni più che giustamente imposte dal governo per arginare il contagio.
Da un giorno all'altro ci ritroviamo a non poter godere della
presenza dei nostri amati, almeno che non siano conviventi, a non poter
frequentare gli amici, a rinunciare alle relazioni con gli altri, che
per gli esseri umani sono la principale fonte di piacere oltreché di
conforto, soprattutto in caso di necessità. E tutti in questo momento ne
avremmo più necessità del solito.
Chi ne fa più le spese
Fidanzati che non possono abbracciarsi per settimane, genitori e
nonni che non possono incontrare i propri figli o nipoti, e viceversa, anziani che
vivono in residenze sanitarie assistite o case di riposo che non posso
ricevere visite, amici che non possono frequentarsi, in generale tutti
coloro che vivono da soli (buona parte degli italiani), nutrendosi
soltanto di relazioni esterne alle mura domestiche, che si ritrovano
isolati.
Per questi ultimi, ancor più se anziani, la cosa è particolarmente
grave. “State a casa”, che è l’imperativo di queste settimane, significa
state soli, deprivati di contatti umani e affettivi, oltreché di tutte
le attività di svago e fonte di benessere (sport, giochi, spettacoli,
feste, cinema, teatri, circoli, club, associazioni e così via).
La convivenza forzata peggiore dell’isolamento
Ancora peggio può essere stare forzatamente a casa ove vi siano situazioni complesse e non serene, come nel caso di coppie conflittuali o addirittura di violenze domestiche, di separati in casa, di convivenza in spazi ristretti e via dicendo.
Per tutte queste persone recarsi ogni giorno al lavoro, la sera al
bar o al pub, a prendere un aperitivo o a fare shopping con l’amico o
l’amica, ritagliarsi del tempo per fuggire dai propri parenti, amati o
amanti, sono attività che garantiscono l’equilibrio psicologico. Non
poterle fare rischia seriamente di far saltare l’equilibrio, magari già
precario.
Cosa e quanto può aiutarci a ridurre l’impatto dell’isolamento
Fortunatamente abbiamo mezzi tecnologici che ci
aiutano a percepire un po’ meno la distanza fisica, e se non l’hanno già
fatto sarà il momento in cui i nonni impareranno a fare la
videochiamata Whatsapp ai nipoti. Sappiamo però quanto le relazioni
mediate dalla tecnologia non siano assolutamente in grado di sostituire
quelle vis à vis, a maggior ragione dove il contatto fisico è elemento
essenziale della relazione stessa (abbracci, baci, carezze, sessualità,
ecc.).
Abbiamo anche libri, televisione, internet, cartoni animati e serie tv. Ma è difficile che questi possano riempire il vuoto che le deprivazioni relazionali lasciano.
Cosa comporta tutto questo?
Per alcuni solo normali sentimenti di solitudine, vuoto, tristezza, mancanza,
che chiaramente si uniscono alle preoccupazioni per la salute e le
finanze che imperano in questo periodo. Stati transitori, pesanti ma
sopportabili. Stati con cui occorre stare in contatto, ma che per certi
versi ci sono utili a capire cosa è veramente importante per noi, che ci
daranno modo di ripartire con le idee più chiare e apprezzando al
massimo ciò che prima davamo per scontato.
Per altri, con meno risorse pratiche e di fronteggiamento
emotivo, le perdite di cui sopra possono comportare una importante
caduta depressiva, che non è scontato si risolva spontaneamente
nel momento in cui la situazione tornerà alla normalità. Negli anziani a
rischio la deprivazione di stimoli sociali e la perdita delle routine
giornaliere può anche favorire il processo di deterioramento cognitivo
verso la demenza senile.
Cosa possiamo fare per stare e far stare meglio
Sostituiamo il messaggio scritto con una telefonata, o meglio ancora con una videochiamata, organizziamo conference call non solo con i colleghi di lavoro per mandare avanti l’azienda o l’ufficio, ma anche con amici e parenti.
Avviamo all’uso dei social network, magari temporaneo, anche i più
restii, che non hanno o hanno abbandonato il proprio profilo Facebook o
Instagram.
Coltiviamo le relazioni sociali in ogni modo, magari dedichiamo il
tempo libero a riprendere quelle che avevamo abbandonato. Questo è il
momento di chiamare la vecchia amica che non sentiamo da mesi o anni, di
passare una serata al telefono anziché su Netflix, di mantenersi
“connessi” e vicini pur stando lontani, facendo sentire agli altri la
nostra vicinanza e ricercandola attivamente.
E se questo non basta?
Occorre monitorare il proprio umore, cogliendone i segnali di un
significativo abbassamento: irritabilità, tristezza, sonno ridotto o
disturbato, apatia, pensieri catastrofici, solo per fare alcuni esempi.
Allo stesso modo è bene prestare attenzione allo stato di salute psicologica
dei nostri cari, soprattutto delle persone più a rischio ed aiutarle a
ridurre in ogni modo possibile la percezione di isolamento e
alienazione.
Ove si ravvisino segnali di franchi disturbi depressivi o
ansiosi è bene cercare di intervenire precocemente, cercando l’aiuto di
uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale, molti dei quali
disponibili anche a sedute online, almeno temporaneamente. Nei casi più
importanti o dove la psicoterapia non sia possibile o sostenibile è bene
allertare il medico di base, che valuterà se e come avviare la persona a
una terapia farmacologica di supporto.
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