La fine del 2019 e l’inizio del 2020 hanno visto come protagonista l’epidemia di polmonite nel Wuhan – o Coronavirus, cioè il genere di virus a cui appartiene.
Nello stesso periodo è stato pubblicato un curioso articolo scientifico che battezza una nuova emozione relativa proprio al dominio della malattia: la spossatezza ( “Lassitude” in originale, NdA).
Nello stesso periodo è stato pubblicato un curioso articolo scientifico che battezza una nuova emozione relativa proprio al dominio della malattia: la spossatezza ( “Lassitude” in originale, NdA).
Più
precisamente, quest’emozione esiste da un pezzo, persino da prima della
comparsa dell’homo sapiens, ma solo adesso viene definita come tale,
non più solamente come una sensazione. Gli autori dell’articolo sono
giunti a questa conclusione rifacendosi alla lunga tradizione
evoluzionista iniziata da Darwin.
In linea con la teoria evoluzionista, la spossatezza sarebbe una risposta innata alla malattia, evolutasi per massimizzare le probabilità di sopravvivere a essa.
Come
infatti scrivono i pionieri della psicologia evoluzionista Tooby e Cosmides, le emozioni sono adattamenti neurocomputazionali che si sono
evoluti per rispondere alle esigenze dell’ambiente tramite l’attivazione
dei meccanismi di risposta.
In modo più schematico, le emozioni
attivano comportamenti e risposte fisiologiche (tensione muscolare,
respirazione, battito cardiaco…) in reazione a stimoli esterni (un
pericolo, un amico, una cosa disgustosa…).
Le emozioni sarebbero quindi programmi comportamentali nati per rispondere in modo specifico a eventi che si verificano con frequenza.
Nel caso della
spossatezza, essa corrisponde al sentirsi affaticati, vulnerabili, privi
di energie, inappetenti, sensibili al dolore e a sensazioni negative,
incluso il disgusto, e demotivazione.
Questi stati sarebbero una strategia per evitare ulteriori patogeni che impegnerebbero ulteriormente il sistema immunitario, perché la persona malata non mangerebbe cibi a rischio ed eviterebbe di esporsi al freddo.
Inoltre
l’organismo consuma molte più energie del solito per combattere la
malattia (o per ricostruire tessuti danneggiati), quindi la
demotivazione e l’affaticamento fanno sì che la persona malata non usi
energie per altro.
L’articolo menziona anche l’aspetto sociale delle emozioni: manifestare
segni di spossatezza comunica agli altri individui lo stato interno e
le necessità della persona malata, suscitando una risposta di
accudimento, di cura nell’altro.
A provocare l’emozione
della spossatezza contribuirebbero sensazioni corporee interne, come
l’attivazione delle difese immunitarie, la sensazione provocata
dall’infiammazione stessa, e in misura minore sintomi esterni, visibili
della malattia.
È una spiegazione molto logica, lineare,
che si inserisce bene nel quadro di riferimento evoluzionista. Ma la
spossatezza è davvero definibile un’emozione? Esiste una qualche lista a
cui aggiungerla?
Secondo la teoria evoluzionista
soddisfa i criteri, come abbiamo visto, ma cos’ha in comune con le altre
emozioni per come le percepiamo? Secondo il paradigma essenzialista di
cui lo psicologo Paul Ekman è il massimo esponente, ogni emozione avrebbe dei tratti distintivi che la rendono riconoscibile fra le altre.
Secondo Ekman le emozioni più distinte e dunque basilari, sono piacere (spesso reso come “felicità” o “gioia”), paura, disgusto, rabbia e tristezza.
Ciò che le rende distinte comprende l’espressione non verbale
(espressioni facciali, postura…) e la componente fisiologica (tensione
muscolare, battito, temperatura).
Gli altri segnali distintivi
sono la componente cognitiva automatica (valutazione automatica degli
stimoli sensoriali, se positivi o negativi), l’immediatezza, la brevità
della durata dell’emozione, la manifestazione di essa in altri primati,
una distintiva esperienza soggettiva, e dei pensieri o delle memorie
associate con essa.
Non è necessario che tutti si verifichino per potersi definire un’emozione, secondo Ekman, ma questa dev’essere distinta grazie all’interazione di questi segnali.
Il
problema della spossatezza è che presenta forti elementi sia del
disgusto che della tristezza, oltre che a causa della sua durata
assomigli di più a un umore che un’emozione. È simile al disgusto perché
la persona malata evita di mangiare o toccare cose che potrebbero
contenere patogeni e prova nausea più facilmente.
È simile alla
tristezza perché causa demotivazione, mancanza di energia e rilassamento
muscolare, oltre a provocare pensieri negativi e scarsa reattività.
Inoltre non è semplice distinguere l’espressione facciale della
spossatezza senza l’aiuto di altri indizi o senza che venga richiesto di
identificare chi mostra segni di malattia.
Questo punto solleva
un dibattito più ampio, cioè il problema dell’approccio essenzialista
con la classificazione delle emozioni. L’essenzialismo pone al centro la
ricerca di un’essenza, una caratteristica fondamentale
nelle cose che possa distinguerle dalle altre. In taluni casi funziona,
ma in altri ci si trova in difficoltà.
Nel caso alla mano, le
emozioni basilari sono ben distinte e si ritiene abbiano caratteristiche
uniche. In virtù di questo sono considerate appunto “alla base”,
completamente indipendenti dalle altre. Queste altre sono
significativamente più difficili da isolare, da definire ed è anche più
difficile tracciarne l’essenza, ciò che le rende uniche.
È molto probabile che il comportamento umano durante la malattia sia in parte dettato da un’istanza emotiva,
o più di una, come moltissimi altri comportamenti umani. L’articolo
sulla spossatezza rafforza l’idea delle emozioni come una componente
essenziale nella sopravvivenza dell’essere umano e nel suo
comportamento.
Davide Mansi,
da Cultura Emotiva
da Cultura Emotiva
Collegamenti:
L’articolo in questione:
Schrock, Snodgrass, Sugiyama (2019) Lassitude: the emotion of being sick
La teoria di Ekman:
Ekman (1999) Chapter 3 Basic Emotions
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