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13 aprile 2013

Assistenza psicologica in ospedale

In questi giorni circola la notizia sull’intenzione del Ministero della Salute di blocccare l’attività degli psicologi negli ospedali secondo le direttive del decreto sugli “standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”. L’Ordine degli Psicologi ha subito reagito, affiancato da numerose società scientifiche e da una petizione online. 
Egregio Ministro
In particolare, desidero sottoporre alla sua attenzione come l’articolo 3 dell’Allegato 1, nell’individuare i tassi di ospedalizzazione attesi per disciplina, non faccia alcun riferimento all’assistenza psicologica. Si decide, in tal modo, di non fissare alcuno standard per la disciplina psicologica, ponendola così, di fatto, al di fuori dei servizi minimi della rete assistenziale ospedaliera.
Tale scelta – effettuata in assoluta coerenza con quella di non includere la Psicologia né nell’enucleazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) né all’interno del Sistema Informativo Sanitario (Sis) – rivela una sensibile sottovalutazione del contributo che questa disciplina può e già fornisce nei percorsi di tutela della salute e di promozione del benessere fisico, mentale e sociale dei cittadini.
Sono, infatti, numerosi gli studi che hanno sottolineato come l’inserimento mirato di un intervento psicologico nel corso delle fasi di diagnosi, cura e riabilitazione di un paziente possa comportare significativi vantaggi per la sua salute.
A questo allarme mediatico lanciato dal Consiglio Nazionale degli Psicologi, dalle associazioni, dai malati, dai familiari, è arrivata una nota dal Ministero della Salute:
In relazione alle notizie di agenzia relative alla paventata scomparsa degli psicologi ospedalieri per effetto della revisione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, prevista dalla spending review, il Ministero della Salute precisa che il regolamento cui si fa riferimento è ancora in una fase di discussione con le Regioni e Province Autonome. Le osservazioni pervenute dal Consiglio Nazionale degli Ordini degli Psicologi sono state valutate dai competenti uffici ministeriali e costituiranno, unitamente alle altre  considerazioni pervenute, oggetto di riflessione nei successivi incontri con le Regioni. In ogni caso, il regolamento già nella sua attuale formulazione non prevede alcuna soppressione della figura dello psicologo, in quanto il regolamento ha come finalità principale la riorganizzazione dei posti letto e della pianta base dei servizi ospedalieri senza entrare nel merito delle specifiche professioni sanitarie coinvolte e necessarie.
La nota ministeriale non mi rassicura affatto. Mi aspettavo una dichiarazione del tipo: “ehi, avete interpretato male, gli psicologi non si toccano! E, mi aspettavo ancora, nella logica della prevenzione, della diagnosi, della cura e riabilitazione della persona, la psicologia è la scienza su cui impostare il futuro della medicina nazionale in un programma avanzato di potenziamento e sviluppo nel welfare per il benessere di tutti i cittadini”.
Mi aspettavo: “ma siete matti? Siamo terribilmente in ritardo rispetto al mondo civile sulla questione della psicologia in ogni settore strategico dello Stato (scuola, sanità, sicurezza), che non ci sogneremmo mai una simile scelta…”.
Mi aspettavo: “ma sapete che ormai numerose ricerche confermano l’effettivo beneficio della psicoterapia per affrontare una malattia organica, o per le fasi postoperatorie chirurgiche, per il periodo post partum di una donna, per la riabilitazione psichica di una persona che ha superato un infarto o per un’anoressica ricoverata e intubata per alimentarla… che la sola ipotesi di un taglio del personale di psicologia è pura follia?”.
Mi aspettavo una dichiarazione ferma e decisa sull’importanza attribuita alla psicologia per prepararsi a morire, già, per quella strana eventualità di cui poco si sente parlare, che succede agli altri, in tv o in un videogame e sembra che parlarne sia diventato quasi un tabù. Eppure il malato e la famiglia avrebbero diritto a ricevere l’aiuto competente e serio di uno psicologo (per avere un’idea puoi leggere il libro La morte e il morire di Elisabeth Kübler-Ross). Ma forse la morte è solo un evento privato, sappiamo quanto sia poco apprezzato questo termine in Italia e, in una realtà sociale fondata sui network e i real tv, la privatezza ha un valore solo legale quando la si difende in un tribunale in nome della cosidetta privacy
Mi aspettavo una risposta retorica insomma, perché invece è tutto reale e concreto nei tagli alla spesa pubblica, nelle parole burocratiche (senza entrare nel merito delle specifiche professioni sanitarie coinvolte), nei target sociali: i malati, i disabili, gli anziani, i bambini, le donne in gravidanza, i ricercatori, i disoccupati, i precari, i carcerati.

Link della petizione
Link del Decreto
Link della notizia e link della replica ministeriale
Link della lettera dell’Ordine
Link del libro di Elisabeth Kübler-Ross


24 giugno 2012

Petizione

Se siamo ancora cittadini di questo paese, non possiamo accettare che lo Stato obblighi terapeuti e pazienti ad effettuare sistematicamente cure contro la propria volontà...
Perché questo prevede la proposta di Legge “Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica” (Vedi Testo integrale del Disegno di Legge), allungando la possibilità di ricoverare i pazienti in strutture psichiatriche fino ad un anno, anche se non consenzienti e ponendo l’accertamento medico finalizzato al ricovero coatto come prevalente rispetto ai diritti civili dei cittadini.

L’obbligo di trattamento, finora riservato a situazioni eccezionali, urgenti e solo per alcuni giorni, oggi diventa applicabile anche alle situazioni ordinarie, di emergenza e fino a un anno di durata. Agire contro la volontà del paziente non sarà più un caso eccezionale, ma una regola.


Un anno di trattamento senza consenso
è un tempo infinito, inutile e sfibrante per tutti: per la persona, per i familiari e per chi presta le proprie cure come medico, psicologo, infermiere o educatore, per le altre persone accolte nella struttura di cura.

Chiunque abbia avuto rapporti di cura con persone ricoverate negli OPG, recentemente In corso di soppressione per il loro plateale fallimento sia nella cura che nell’applicazione della giustizia, conosce bene l’abominio delle cure obbligatorie, il mefitico mescolamento di controllo giudiziario e terapia psichica. Chiunque abbia conosciuto persone costrette al ricovero per periodi protratti più di qualche settimana, sa bene che il danno prodotto dalla cura è peggiore di qualsiasi beneficio.

L’articolo 4
determina cheLe procedure di intervento sanitario obbligatorio, accertamento sanitario obbligatorio (ASO) e trattamento sanitario obbligatorio, che assume la definizione di trattamento sanitario necessario (TSN), sono attivate quando la garanzia della tutela della salute è ritenuta prevalente sul diritto alla libertà individuale del cittadino”. E che “L’accertamento sanitario obbligatorio è proposto sia da un medico del Servizio sanitario nazionale, sia da un medico del dipartimento di salute mentale per l’effettuazione di un’osservazione clinica”. […]

In sostanza un medico del SSN, anche qualunque, può internare chiunque sulla base di presunte valutazioni diagnostiche (accertamenti) e tali valutazioni sono “prevalenti sul diritto alla libertà”. Nessun incubo orwelliano potrebbe essere espresso in forma migliore. Valutazioni mediche indifferenziate hanno il potere di interdire un cittadino. Questa è sì la follia.

L’articolo 5
prevede una terapia prolungata anche senza il consenso del paziente. Una novità rispetto al trattamento sanitario obbligatorio praticato fino ad oggi, che ha tempi ridotti ed è finalizzato ad ottenere il consenso del paziente alle cure. Il paziente potrà essere trattenuto fino ad un anno continuativamente, e “Il trattamento necessario extraospedaliero prolungato è finalizzato a vincolare il paziente al rispetto di alcuni principi terapeutici”. Il tema del consenso, che implica un lavoro di contrattazione e confronto con il paziente da cui spesso inizia una relazione con i curanti e poi una  cura, qui scompare: lo scopo è vincolare il paziente. Appellarsi alla necessità significa sottrarsi alla possibilità del conflitto e alla pratica della sua risoluzione come principio di terapia. Appellarsi alla necessità significa stare abbastanza alla larga dal paziente da non permettergli repliche.

L’articolo 8
obbliga il medico del Centro di Salute Mentale a svolgere visite domiciliari se i familiari segnalano l’esordio di una psicopatologia. Emerge una concezione ingenua della condizione psichiatrica, in cui i familiari sono depositari di una visione oggettiva sul parente malato ed hanno il potere di imporre all’équipe curante e alla persona un atto terapeutico come la visita domiciliare. La buona pratica di andare in visita occasionale ai pazienti sembra del tutto sconosciuta. La pena per il medico inadempiente è demandata all’area disciplinare, e sottratta allo spazio del rapporto umano con il paziente e la sua famiglia.

L’articolo 9
impone allo psichiatra del DSM di informare i parenti, mentre deve ricorrere al giudice per informare conviventi o persone che si prendono abitualmente cura del paziente. In nessun punto dell’articolo si parla dell’opinione del paziente ricoverato, che mentre è lontano da casa, sofferente e in un luogo estraneo, non ha nemmeno il diritto di decidere delle informazioni che lo riguardano. Divenuto oggetto piuttosto che proprietario delle informazioni sul proprio stato di salute, il paziente diagnosticato perde ogni diritto di obiettare.  Che succederebbe se il paziente imponesse al medico il silenzio, esercitando pienamente il proprio diritto alla riservatezza e appellandosi al segreto professionale?


In tutta questa proposta di legge, il grande assente è il rapporto fiduciario:
ciò che ci permette di affidarci alle mani di un dentista, di un avvocato, di un sacerdote, di uno psichiatra. Ciò che ci permette di affrontare anche il dolore delle cure, se necessario, perché riponiamo nella persona che abbiano davanti la fiducia che stia agendo per il nostro interesse. Lo Stato si interpone al rapporto umano e professionale fra curante e paziente e sceglie per loro, ignorando il principio cardine della terapia.

Chiunque abbia mai affrontato l’avventura della cura sa che le persone con disturbi psichiatrici non perdono la propria cittadinanza, la capacità di fidarsi e di scegliere le persone di cui fidarsi. Questo accade nelle realtà eccellenti che pur ci sono in Italia le cui buone pratiche non vengono qui prese in nessun modo ad esempio. Chiunque abbia curato sa bene che la prima cura è la conquista della reciproca fiducia. Chiunque sappia cos’è la fiducia, sa che è qualcosa che nasce nell’animo delle persone, che nessun protocollo può imporre.

Ogni codice deontologico basa l’atto professionale sul rapporto fiduciario. Non c’è atto professionale se non c’è fiducia fra professionista e cittadino. Non c’è fiducia nell’obbligo come fondamento della cura.

Questa Proposta di Legge deve essere bloccata nel proprio iter di approvazione parlamentare. In 12 aberranti articoli, il testo non disegna una legge, ma un futuro di persone private degli elementi minimi di cittadinanza. Lo fa con una noncuranza disarmante, che non esprime nemmeno un’ideologia repressiva, quanto la mancanza di ideologia e di pensiero, atti di cura privi di ogni contenuto relazionale.
Per tutto questo ti chiediamo di firmare questa petizione e di fermare questo obbrobrio etico, culturale, civile.

Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica.C. 919 Marinello, C. 1423 Guzzanti, C. 1984 Barbieri, C. 2065 Ciccioli, C. 2831Jannone, C. 2927 Picchi, C. 3038 Garagnani e C. 3421 Polledri. TESTO UNIFICATO ELABORATO DAL RELATORE ADOTTATO COME TESTO BASE Testo integrale del Disegno di Legge