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15 giugno 2012

Il genoma del bonobo




Era l’ultimo tassello mancante per completare il quadro dell’album di famiglia filogenetico dell’essere umano: come si legge sull'ultimo numero di "Science", il genoma del bonobo è stato sequenziato nel’ambito di un’ampia collaborazione internazionale guidata da Svante Pääbo, del Max-Planck-Institut per l’antropologia evoluzionistica a Lipsia, in Germania, di cui ha fatto parte, come unico ricercatore italiano, Claudia Rita Catacchio della Sezione di genetica-Dipartimento di anatomia patologica e genetica, dell'Università di Bari.
Scimpanzé (Pan troglodytes) e bonobo (Pan paniscus) sono i primati più simili all'uomo. Ma mentre gli scimpanzé sono assai diffusi e studiati, i bonobo vivono in un habitat molto ristretto, solo a sud del fiume Congo nella Repubblica democratica del Congo e le conoscenze su di loro sono ancora molto limitate.
Dal punto di vista filogenetico, si sa che l'essere umano si separò dagli antenati di bonobo e scimpanzé tra 5 e 6 milioni di anni fa, mentre i bonobo si separarono dagli scimpanzé circa due milioni di anni fa.

I due primati sono molto simili per molti aspetti, ma differiscono per alcuni tratti fondamentali. Per esempio, gli scimpanzé maschi utilizzano l'aggressione per competere per la gerarchia di dominanza e per ottenere sesso, oltre a cooperare per difendere il loro territorio, e attaccare altri gruppi.
Viceversa, i maschi di bonobo sono comunemente subordinati alle femmine e non competono per avere una posizione di dominanza all'interno del gruppo. Inoltre, non stringono alleanze con gli uni con gli altri e non esistono prove di aggressioni letali tra diversi gruppi. Rispetto agli scimpanzé, i bonobo appaiono giocosi per tutto il ciclo di vita, mostrano un'intensa attività sessuale per scopi diversi dal concepimento (per esempio per cementare rapporti sociali con altri membri del gruppo) e coinvolgendo a volte anche partner dello stesso sesso.
Questa mescolanza di somiglianze e differenze tra uomo, scimpanzé e bonobo rende praticamente impossibile ricostruire un plausibile insieme di caratteristiche dei nostri comuni antenati. Per comprendere le relazioni evolutive delle tre specie è stato sequenziato il genoma di un unico individuo di bonobo, di nome Ulindi, che vive in cattività a Lipsia.

Dal confronto con quello dello scimpanzé, il genoma di bonobo appare qualitativamente molto simile in termini di duplicazioni e di altri errori a carico del DNA. Ma in quest'ultima analisi, descritta sulle pagine della rivista "Nature", trova conferma un fenomeno evidenziato in altri studi che avevano considerato regioni genomiche molto più limitate.
Poiché infatti i rami filogenetici di bonobo e scimpanzé si sono allonanati poco dopo che il loro comune antenato si era separato dal ramo che ha poi dato origine all'uomo, è plausibile, secondo le attuali conoscenze genetiche, che per alcune particolari regioni genomiche si possano evidenziare maggiori somiglianze tra esseri umani e bonobo o tra esseri umani e scimpanzé che non tra bonobo e scimpanzé. Dall'analisi statistica della posizione e dell'estensione delle sequenze non ripetitive dei genomi di esseri umani, bonobo, scimpanzé e orangutan è risultato che più del 3 per cento del genoma umano è vicino a quello del bonobo o a quello dello scimpanzé più di quanto non lo siano tra loro i genomi delle due scimmie.

17 febbraio 2012

Il lato positivo della rabbia

Uno studio rivela il ruolo di incentivo all'ottenimento di una ricompensa di questa emozione, ruolo che è solitamente ignorato perché ci si concentra sui meccanismi di evitamento che vi sono connessi

Il lato positivo della rabbia

In genere si ritiene che la rabbia sia un sentimento esclusivamente negativo, ma in realtà ha alcuni aspetti positivi, secondo quanto risulta da una ricerca condotta dal 2010 presso l'Università di Utrecht e pubblicata sulla rivista Psychological Science. Questa emozione, ricordiamo, attiva un'area nell'emisfero sinistro del cervello che è associata a diverse altre positive e, al pari di queste, può motivare le persone a ottenere qualcosa.
"Solitamente le persone sono motivate a fare qualcosa o a ottenere qualcosa perché rappresenta una ricompensa. Ciò significa che l'oggetto è positivo e rende felici", osserva Henk Aarts, primo firmatario dell'articolo, in cui è descritta la ricerca volta a indagare il possibile legame fra rabbia e desiderio di ottenere qualcosa.

Nello studio ogni partecipante osservava un monitor su cui apparivano le immagini di diversi oggetti comuni, come una tazza o una penna. Tuttavia, appena prima di ciascuna immagine di oggetti appariva per un tempo brevissimo, in modo che il soggetto non ne prendesse coscienza, anche un viso con un'espressione neutra, arrabbiata o impaurita. In questo modo l'immagine subliminale associava a ogni oggetto una coloritura emotiva. Alla fine dell'esperimento, veniva chiesto alle persone quanto desiderassero i diversi oggetti.
In una seconda versione dell'esperimento i partecipanti dovevano stringere una manopola per ottenere l'oggetto desiderato, e chi stringeva più forte aveva l'opportunità di ottenerlo.

E' risultato che le persone mettevano il loro maggiore impegno per ottenere gli oggetti associati a facce arrabbiate. "La cosa ha senso, se la pensiamo in termini di evoluzione della motivazione umana", osserva Aarts: se, per esempio, nell'ambiente c'è scarsità di cibo, le persone che associano il cibo alla rabbia e la convertono in una risposta di attacco per ottenerlo, è più facile che sopravvivano. Se il cibo non produce rabbia o aggressività nel proprio sistema, si può morire d'inedia e perdere la battaglia.

I partecipanti non avevano idea del fatto che l'oggetto del loro desiderio avesse a che fare con la rabbia: "Quando si chiedeva perché si fossero impegnati per ottenerlo, affermavano semplicemente: 'Perché mi piace'. E questo ci dice quanto poco sappiamo delle nostre stesse motivazioni", ha concluso Aarts

19 gennaio 2011

Teoria della mente

BAMBINI "EMPATICI" ANCHE DA PICCOLISSIMI
Fin dalla più tenera età, l'uomo riesce a connettersi emotivamente con gli altri. È il risultato di un nuovo studio finanziato dall'UE, secondo il quale i bambini piccolissimi, e persino i neonati, hanno la capacità di capire e prendere in considerazione il punto di vista degli altri. Ancora più interessante è il fatto che questa sembra essere una reazione automatica per loro, fatta cioè senza alcuno sforzo.
Tutto questo comincia molto prima che i bambini compiano un anno.
I risultati sono stati presentati sulla rivista Science. I ricercatori chiamano la capacità di una persona di dedurre le intenzioni e le credenze degli altri la "teoria della mente".
Questa capacità ha un ruolo fondamentale nelle interazioni sociali efficaci e potrebbe essere stata una condizione centrale nella costruzione di società umane cooperative. La maggior parte dei ricercatori credeva che i bambini al di sotto dei tre o quattro anni non possedessero la capacità della teoria della mente. Ma i risultati indicano che c'è una forte possibilità che invece la possiedano. Il ricercatore del programma Marie Curie, dott.ssa Ágnes Melinda Kovßcs dell'Istituto di psicologia presso l'Accademia delle scienze ungherese, e i suoi colleghi hanno studiato questo fenomeno testando adulti e bambini di sette mesi grazie a una serie di video animati. In questi video, una palla prima rotola dietro un muro piccolo e poi sta ferma, rotola via o rotola fuori dal campo visivo. I tempi di reazione sia degli adulti che dei bambini sono risultati più veloci quando la convinzione - "credenza" nel linguaggio dei ricercatori - del personaggio animato riguardo la posizione della palla corrispondeva alla posizione reale della palla. Questo valeva anche nel caso in cui il personaggio animato aveva lasciato lo schermo una volta finito il video. Il team è convinto che anche se le persone non sono più presenti, a prescindere dal fatto che siano giovani o adulti, ricordino le loro credenze come rappresentazioni alternative del mondo. "Lo sviluppo di attività che possono essere usate con bambini molto piccoli contribuirà in modo significativo all'attuale impegno per ottenere una diagnosi precoce dell'autismo e preparerà il terreno alle tecniche di intervento precoce", assicura la dott.ssa Kovßcs. "Le interazioni sociali umane dipendono dalla capacità di rappresentare le credenze degli altri anche quando queste contraddicono le proprie credenze, il che porta al problema potenzialmente complesso di avere due rappresentazioni contrastanti in mente nello stesso momento", scrivono gli autori dello studio. "Qui dimostriamo che gli adulti o i bambini di sette mesi codificano automaticamente le credenze degli altri e queste, sorprendentemente, hanno effetti simili alle credenze reali dei partecipanti". I risultati di questo studio miglioreranno la consapevolezza di quanto sia importante il ruolo della capacità della teoria della mente, in particolare per la capacità di inferire gli stati mentali degli altri.

22 maggio 2009

Science

Cervello, trovata la "chiave del riposo"

Se dormi come un sasso e non ti sveglia nulla è merito di una "corrente" cerebrale che spegne i neuroni e permette di riposare lasciando percepire poco i rumori esterni o, comunque, facendoli percepire come innocui. Scoperto da Sydney Cash e Andrea Rossetti, rispettivamente della Harvard University e del Brigham and Women's Hospital di Boston, il meccanismo chiave per ottenere ristoro dal sonno. Si tratta dei cosiddetti "complessi K", picchi spontanei di "voltaggio" nel cervello che corrispondono a una fase "down", cioè a una riduzione brusca di attività neurale che permette di continuare a dormire anche se rumori esterni ci disturbano, facendo sì che non vengano avvertiti.
La scoperta - Secondo quanto suggerito dai ricercatori sulla rivista Science, durante i complessi K onde lente e ampie che sembrano comparire dal nulla per poi svanire, le sinapsi (collegamenti neurali), si riorganizzano e consolidano i ricordi. Ormai numerosi studi hanno dimostrato che il sonno è importante per apprendimento e memoria perché in certe fasi del nostro dormire il cervello si riorganizza, alcune sinapsi si rinforzano e permettono di mantenere informazioni importanti immagazzinate nel giorno appena trascorso; altre, che contengono dati superflui, vengono invece eliminate per fare spazio.
Neuroni si spengono per farci ricaricare - Questa fase clou del nostro "ronfare" è detta di sonno profondo ed è quella in cui il cervello è attraversato da onde lente. Gli scienziati hanno però capito ancora meglio cosa avviene in questa fase del sonno, inserendo degli elettrodi nel cervello di pazienti sottoposti ad intervento per l'epilessia. Con questi elettrodi i neurologi hanno misurato nel loro cervello dei momenti di "down" neuronale in concomitanza della comparsa dei complessi K. Secondo i ricercatori, i complessi K sono dunque cruciali per le funzioni ristoratrici del sonno e per non essere svegliati dai rumori.