È sceso in campo un nuovo protagonista a modificare l’ambiente scavalcando in poche settimane la povera Greta e gli orsi bianchi timorosi di muoversi su lastre di ghiaccio sempre più sottili... il COVID-19
Pubblicato su StateOfMind il 13 marzo 2020
“È timido, tanto, tanto timido!!”
ripeteva a mo’ di giustificazione la mia povera nonna che, titolare
della mia educazione, riteneva di fare brutta figura per conto terzi a
causa del mio scostante sottrarmi ai poliposi abbracci dei parenti, ai
bavosi baci di vecchi odorosi di muffa e urina durante la via crucis di
dodici stazioni, altrettanti parenti stretti quanto sconosciuti, che
seguiva l’arrivo nel paese d’origine per le vacanze estive che allora si
chiamavano “villeggiatura” e si intrecciava quasi senza soluzione di
continuità con il giro inverso per i commiati che precedevano la
partenza.
Il mio divincolarmi dalle strette affettuose accompagnate da gridolini
di gioia dello sgradito interlocutore per una ritrovata vicinanza di cui
non sentivo alcuna mancanza divenne più deciso e quasi aggressivo
quando giunto alle soglie della pubertà, forse a motivo di qualche film,
mi feci persuaso che fosse il bacio ad innescare il processo generativo
di un figlio. Da allora misi a punto numerose tecniche per me
anticoncezionali consistenti soprattutto in un rapido spostamento
dell’asse cranico in modo che il bacio mancasse il bersaglio della
guancia e finisse confusamente tra i capelli o su un orecchio dove, a
mio avviso, perdeva gran parte della sua potenza procreativa.
Anche
con mio padre credo di aver trascorso un’esistenza a contatto l’uno
dell’altro con continui scambi di informazioni ininfluenti
(comunicazioni di servizio) senza sapere niente io di lui ne lui di me a
parte i fatti esteriori che accadevano come in tutte le vite. Credo, ad
esempio, che fosse orgoglioso di me e riconoscente per avergli
risparmiato imbarazzo quando in una prenatalizia domenica romana di
inizio dicembre, sdraiati sul lettone matrimoniale con il sole che
faceva danzare la polvere nell’aria in moti ascendenti, piccoli vortici e
cascate discendenti di pulviscolo, mi mise al corrente che non era il
nonno del paese ad essere stato male quanto piuttosto sua figlia, mia
madre, ad essere morta quindici giorni prima.
Poi basta non se ne parlò più. Che altro c’era da dire?
Alle
elementari e alle medie degli altri avevo paura e non credo fosse per
il timore del giudizio ma semplicemente per un’irriducibile alterità,
come se tutti avessero seguito un corso su come stare “normalmente”
insieme, corso al quale io ero stato assente ingiustificato (forse
perché preso con la strana vicenda di mia madre, mi dicevo sapendo che
era solo una giustificazione ed il defekt molto precedente e
profondamente iscritto nel mio stare al mondo). Guardavo gli altri con
incredulità e invidia la facilità con cui si relazionavano come se
avessero un copione comune ben collaudato da numerose prove. Un accordo
segreto da cui io ero escluso e che mi convinsi progressivamente non mi
interessasse con quella sprezzante superiorità mostrata dalla volpe nei
confronti dell’uva.
Poi l’adolescenza con le sue esigenze ormonali
mi spinse alla ricerca di compagne ma mai di compagnie tollerate solo
perché indispensabili e strumentali all’incontro con l’altro sesso,
allora scarsamente accessibile. La ricerca di un essere simile a me col
quale stare insieme profondamente (perché di questo ne sentivo il
bisogno) senza troppe manifestazioni di vicinanza ha impegnato un tempo
lungo della mia vita e implicato numerosi fallimenti, illusioni fino
all’incontro tardivo e insperato con Brunella, così unico e miracoloso
da essere financo fecondo di stupenda progenie. La difficoltà
paralizzante non si limitava però alle relazioni strette. In ogni
ambiente giocavo una parte, un ruolo provato a casa magari davanti allo
specchio. Ma anche quando la finzione di scena riscuoteva successo, non
vedevo l’ora di struccarmi e ritornare dentro di me dove, si badi bene,
non c’era assolutamente nulla se non una indefinita strisciante paura,
ancora non saprei definire esattamente di che. E se ora assume
la condivisibile forma della paura della morte, un tempo doveva
piuttosto essere una inammissibile e vergognosa paura di vivere.
Ho
sempre vissuto questa condizione come una diminutio. I veri uomini,
pensavo, sono quelli che si danno grandi pacche sulle spalle, si
strizzano le palle per salutarsi, sbattono rumorosamente le bottiglie di
birra per brindare alla loro amicizia, ruttano cavernosamente e con la
loro voce alta e il tono sicuro e definitorio orientano verso di loro
tutti gli astanti. Maschi alfa in technicolor e dolby surround. Insomma i
“compagnoni”, i “buontemponi”, gli “estroversi”, quelli “adatti ad ogni
ambiente”, gli “animatori naturali”. Il vantaggio a essere così anche
da un punto di vista evolutivo è evidente. Più relazioni, più amicizie e
conoscenze, più storie affettive e, in conclusione più progenie. Con il
risultato che il gene 41ipersoc, responsabile di tutto ciò una sequenza
di 27 aminoacidi posta in coda al cromosoma 9 è andato proliferando
divenendo la normalità statistica e auspicata al punto che, come ho
scoperto molto più tardi a motivo del mio mestiere, chi non è così è
considerato portatore di un disturbo. Il cosiddetto “disturbo evitante di personalità”
se si fa fatica a stare con gli altri perché non si sa come farlo e si
teme un giudizio negativo di goffagine (costoro perlomeno possono
vantare, in tempi di buonismo, questo timore del giudizio altrui come
prova di un interesse, per quanto celato e controproducente, nei
confronti dell’altro) oppure, peggio, il cosiddetto “disturbo schizoide di personalità”
in cui l’altro è semplicemente “ non pervenuto”, “insignificante” e ciò
non provoca alcun dolore o carenza. Non c’è ed è normale che non ci
sia, senza colpe né rimpianti.
Ma la storia dell’evoluzione naturale della specie con la lezione di
Darwin ci ha insegnato che un comportamento non è buono o cattivo in sé
ma lo è sempre relativamente ad un ambiente e alla pressione selettiva
che questo esercita sul singolo individuo aumentando o diminuendo la sua
fitness riproduttiva. Classico l’esempio della microcitemia che si è
selezionata nelle zone malariche perché i piccoli globuli rossi che la
caratterizzano sono resistenti a questa malattia. Ora da poco tempo è
sceso in campo un nuovo protagonista a modificare l’ambiente scavalcando
in poche settimane la povera Greta e gli orsi bianchi timorosi di
muoversi su lastre di ghiaccio sempre più sottili, il COVID-19. Se non
ci sarà qualche brillante ricercatore italiano che fuggito anni fa da un
destino di precario portaborse e ora, guarda caso il cervello in fuga
dove ha attecchito, al vertice del più importante laboratorio mondiale
di ricerca sui vaccini che tiri fuori il coniglio dal cappello e ci cavi
dai guai e, invece si lascerà lavorare in pace e a lungo il nuovo
selettore, almeno il tempo di una generazione ma per sicurezza anche
mezzo secolo, gli scenari cambieranno radicalmente. Le fosse comuni si
riempiranno dei professionisti di aperitivi, apericene, vernissage, e
party in genere. I fanatici delle rimpatriate varcheranno sottobraccio e
a passo spedito le porte dell’Ade. Le lunghe chiassose tavolate di
amici brindanti a Natale, a capodanno, a un matrimonio o a un compleanno
sprofonderanno nel buio silenzio dove si odono solo lamenti e stridore
di denti.
Sul principio anche noi schizoevitanti saremo un po’
disorientati. Da chi nascondersi ora? Da chi fuggire? Quale pace
ricercare ora che tutto è in pace e il chiasso non è che un’eco lontana
dei terribili passati “tempi allegri e spensierati”. Poi piano piano
verremo fuori dai nostri rifugi anti-umani a prova di emozioni ormai
inutili e, ancora schiavi di qualche tardivo spruzzo ormonale torneremo
ad accoppiarci, magari sempre con la testa voltata a evitare il bacio e
qualche parola intima nell’orecchio. La rimonta riproduttiva sarà
implacabile e rigorosamente condotta dalla posizione a tergo mentre
l’oscenamente intima posizione vis a vis con gli occhi, specchi
dell’anima, negli occhi, sarà bandita e giudicati sospetti i suoi
cultori.
Così nel giro di tre o quattro generazioni (se fossimo
rapidi come i batteri basterebbe un giorno) il gene 41ipersoc batterà
in ritirata e le nursery traboccheranno di compostissimi neonati
appartati nelle loro culle a debita distanza gli uni dagli altri. Essere
solitari, riservati, refrattari al contatto fisico e all’allegria da
osteria o al savoir faire da occasione mondana sarà la norma e il
modello da additare alle nuove generazioni e finalmente ad essere
oggetto di diagnosi, che so potrebbe essere “disturbo appiccicoso o ciarliero di personalità”, oppure “intimismo parossistico” saranno quelli che abbiamo sempre invidiato. Perchè la verità si decide a maggioranza e adesso siamo saldamente noi
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