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11 agosto 2014

Effetto Pigmalione e la profezia che si autoavvera

Uno dei meccanismi più affascinanti e utili da comprendere della psicologia umana è un concetto proposto per la prima volta il 1948 dal sociologo Robert K. Merton (1910-2003) che descrisse la profezia che si auto-avvera come “una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”. L’idea alla base è che un’opinione, pur essendo falsa, per il solo fatto di essere creduta vera porta la persona a comportarsi in un modo che la fa avverare, fa avverare cioè l’aspettativa. A tal proposito descrisse il fallimento di una banca, provocato dai clienti, i quali, convinti che la banca stesse per fallire, si precipitarono a ritirare tutti i loro risparmi provocandone il fallimento (ricorda per caso qualche meccanismo psicologico che sta attivando nella nostra mente la crisi economica?). 
 Uno dei più importanti studiosi di questo concetto è stato Rosenthal che il 1974 mise in luce quanto fu definito “effetto Pigmalione” effettuando il seguente esperimento all’interno di una scuola elementare: fingendo di avere somministrato un test alla classe, informò le maestre del fatto che i bambini del gruppo “X” erano risultati più predisposti allo studio e più intelligenti rispetto a quelli del gruppo “Y”. Il risultato finale fu che a conclusione dell’anno scolastico i bambini del gruppo X ottennero valutazioni più elevate da parte degli insegnanti e questo portò l’autore a ipotizzare che l’atteggiamento degli insegnanti, influenzato dalle previsioni, avesse condotto alla realizzazione della previsione stessa (Per gli insegnanti: attenzione a questi meccanismi psicologici involontari quando valutate un alunno). 
Questo fenomeno, ovviamente, è presente anche nella nostra vita di tutti i giorni e ha diverse implicazioni. Prima di tutto può portare a valutare e interpretare in modo errato gli individui con cui entriamo in contatto. Le prime impressioni che ci formiamo, basate su caratteristiche fisiche, comportamentali, similarità dell’altra persona a noi, sono inficiate da queste profezie. In che modo? Le aspettative che abbiamo nei confronti del soggetto porteranno l’individuo stesso a comportarsi come noi ci attendiamo. L’idea alla base è il fatto che le nostre impressioni degli altri possono causare comportamenti che tendono a confermarle. Il discorso, di conseguenza, si sposta anche a livello degli “stereotipi”. Perché essi hanno la tendenza a conservarsi e sono resistenti al cambiamento?
In generale ognuno di noi cerca di individuare nel mondo solo informazioni che li confermano (ad es.: lo stereotipo che “tutti gli extracomunitari sono delinquenti” viene confermato quando in tv sentiamo di un omicidio commesso da un extracomunitario). Si parla di errore di conferma (“vedo solo ciò che mi aspetto di vedere”). Infine, non legato specificamente alla percezione sociale, la profezia che si autoadempie esiste anche in relazione a noi stessi e ai nostri pensieri: quando pensiamo o temiamo che avvenga qualcosa di negativo ci comportiamo in modo che la previsione si realizzi davvero. Ad esempio, una persona che teme di essere considerata antipatica dagli altri mette in atto comportamenti di chiusura e sottrazione così da sembrare realmente sgradevole. I meccanismi fin qui descritti non sono di tipo patologico. Ognuno di noi, infatti, nella sua esperienza quotidiana può trovare prova di come essi agiscano, a volte senza particolari conseguenze. In questi casi un ottimo antidoto contro le profezie è rappresentato semplicemente dall’agire “come se” non si avessero quelle convinzioni. Altre volte, al contrario, possono determinare grosse difficoltà nel perseguire i propri obiettivi, la propria realizzazione personale, il benessere delle proprie relazioni sociali e sentimentali. In questo secondo caso possiamo chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta. La Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, ad esempio, ha proprio come obiettivo identificare schemi e credenze disadattive, limitanti e depotenzianti che determinano e mantengono circoli viziosi disfunzionali e attraverso la loro modifica consentono di creare nuovi schemi e convinzioni più adattive, flessibili e potenzianti. La persona potrà così innescare nuovi circoli virtuosi e ottenere un maggiore benessere e una maggiore stabilità relazionale ed emotiva.

16 aprile 2013

Self Fulfilling Prophecy

La profezia che si autoavvera, quella che in inglese si chiama self fulfilling prophecy, è una stregoneria che chiunque può fare. E che funziona.
Istruzioni per produrre un’efficace profezia che si autoavvera: cominciate a credere o a diffondere la credenza che un’eventualità improbabile sia certa. Più l’eventualità è remota, meglio è. Se è anche negativa, è il massimo dello spettacolo.
A questo punto, se il fatto negativo vi colpisce direttamente, abbandonatevi alla disperazione e/o datevi da fare per mettervi al riparo dalle conseguenze nefaste. Se colpisce qualcun altro, evocatela in un crescendo minaccioso, fino a quando il qualcun altro non si abbandonerà alla disperazione e/o non si darà da fare per mettersi al riparo. In entrambi i casi, si tratta di attivare proprio quel comportamento (insensato) che finalmente fa succedere la (improbabile) profezia.
Fallimenti annunciati. Robert Merton, l’inventore della definizione self fulfilling profecy, fa questo esempio: Rosanna si convince ingiustamente che il suo matrimonio fallirà. Quindi si comporta come se fosse già fallito, e lo fa effettivamente fallire. Oppure: Filippo si convince ingiustamente di non avere nessuna possibilità di passare un esame. Studia, ma al momento dell’esame è così agitato da non rispondere neanche alle domande più facili, e non passa.
Ma lo stesso meccanismo funziona anche con i gruppi. Può portare al fallimento di una banca (se troppi correntisti, timorosi di un crac, ritirano nello stesso momento i propri depositi, il crac succede) o di una trattativa (se tutti sono convinti che la trattativa non si chiuderà, nessuno si dà da fare per negoziare sul serio e la trattativa va in fumo) o di un’impresa (se molti clienti pensano che l’azienda stia per chiudere, smettono di fare ordini e l’azienda chiude davvero).
Visto che le cattive notizie e i pronostici allarmanti sollevano più interesse di quelli buoni, spesso anche i mezzi d’informazione fanno la loro parte nell’evocare spettri che, dai e dai, acquistano consistenza. Paul Watzlawick fa questo esempio: nel 1979, in California, i quotidiani pubblicano dichiarazioni sensazionali riguardanti un’incombente scarsità di carburante. Tutti si affrettano a far benzina e nel giro di poche ore le scorte, effettivamente, finiscono.
Da Edipo a Beppe Grillo. La profezia che si autoavvera funziona anche in positivo. Per esempio, con i sondaggi preelettorali: si dà per vincente o in crescita un partito, questo fatto incoraggia gli indecisi a preferirlo, il partito cresce e, magari, finisce per vincere.
Funziona nella scuola, ed è stato provato: ai professori viene detto che alcuni studenti (in realtà scelti a caso) “hanno grandi potenzialità”. Quindi cominciano a seguire quegli studenti con un’attenzione speciale. E, a fine anno, la performance di quegli studenti è migliorata.
La profezia che si autoavvera ritorna nel nostro immaginario: dalla leggenda di Edipo al Macbeth di Shakespeare, al film Matrix. Ma ricorre anche nel passato storico e nel nostro presente quotidiano, dalla bolla dei tulipani in Olanda alle recenti posizioni grilline sull’inciucio Bersani-Berlusconi: si rifiuta qualsiasi dialogo nella certezza che si verificherà un “inciucio” e prevarrà la cattiva politica. E di fatto si propizia il verificarsi dell’inciucio e il prevalere della cattiva politica, proprio rifiutando qualsiasi dialogo.
Le definizioni di una situazione e i comportamenti che si attivano fanno sempre parte della stessa situazione, e ne possono determinare lo sviluppo: quelli che sembrano solo “effetti” sono, in realtà, “cause”, di cui nel bene o nel male è responsabile proprio chi li ha evocati. Converrebbe prenderne nota, magari.

Annamaria Testa,
La profezia e l'inciucio
(Internazionale)

7 febbraio 2013

il "bello"


Il concetto di  bello è molto soggettivo ma anche molto diverso tra uomini e donne... Così diverso che nei due sessi è associato all'attività cerebrale di due aree differenti.

Se con la vostra metà non riuscite mai a trovare un accordo sul colore delle pareti o sul rivestimento del divano, non prendetevela: è questione di evoluzione! Il senso del bello cambia infatti tra uomini e donne; a confermarlo non ci sono solo gli studi comportamentali, ma anche una ricerca effettuata nel 2008 da un team internazionale di scienziati. 
Camilo J. Cela-Conde dell’Università delle Isole Baleari e i suoi colleghi sono infatti riusciti a dimostrare che la vista di opere d’arte, di paesaggi piacevoli e, più in generale, di "cose belle" attiva, in maschi e femmine, zone diverse del cervello. La magnetoencefalografia, un esame che permette di rilevare l’attività elettrica delle sinapsi, ha rivelato che mentre nelle donne la vista di immagini "belle" attiva entrambe le aree parietali, nell’uomo accende solo il lato destro della corteccia. Secondo i ricercatori questa differenza è una conseguenza dell’evoluzione e risale all’era in cui uomini e scimmie iniziarono a differenziarsi.

16 agosto 2011

BIMBE MENO BRAVE IN MATEMATICA? "COLPA" DELLA MAMMA

VANNO PEGGIO SE LA MADRE PENSA CHE SIANO PIU' PORTATI I MASCHI

La scienza lo conferma: le femmine sono meno brave in matematica, ma solo se ne è convinta la mamma. Se lei infatti pensa che coi numeri se la cavino meglio i maschi, sua figlia otterrà punteggi fino al 15% inferiori rispetto alle coetanee le cui madri rigettano con forza lo stereotipo. Lo suggerisce una ricerca sperimentale su 124 bambine tra i cinque e i sette anni, guidata dall'Università di Bologna e in stampa sulla rivista di psicologia dello sviluppo dell'Associazione degli psicologi americani. Nessuna influenza, invece, sembrano avere le opinioni dei papà. "E' sorprendente che già a cinque anni le bambine possano essere inconsapevolmente condizionate da stereotipi relativi al genere", dice Carlo Tomasetto, ricercatore dell'Ateneo bolognese e coautore dello studio. Ancora più sorprendente, è forse che il condizionamento si attivi solo se, prima dei test di matematica, alle bimbe viene chiesto di disegnare una figura femminile. Per i ricercatori invece è una conferma. Si tratta di un fenomeno osservato, per lo più negli adulti, da almeno una decina d'anni.
L'esperimento, cui hanno preso parte anche le università di Padova e Chieti-Pescara, si è svolto così: le bambine sono state testate individualmente, a scuola. Prima del test di matematica, pensato per la loro età, è stata loro raccontata una storia. Con protagonista femminile fortemente stereotipata, ad alcune. Incentrata su un argomento neutro, alle altre. Le bambine sono quindi state invitate a fare un disegno relativo al racconto appena ascoltato. Parallelamente ai genitori è stato chiesto di compilare un questionario nel quale, tra l'altro, si chiedeva se, a loro parere, "i maschi di solito sono più portati delle femmine in matematica" e se "le femmine di solito sono più brave nelle materie artistiche e linguistiche che in matematica".